Considerazioni sulla gestione delle città e sul D.G. Campania n. 369/2023


Considerazioni sulla gestione delle città e sulla Delibera di Giunta regionale Campania n. 369/2023 modifiche alla Legge Regionale (L.R.) Campania 16/2004 “Norme sul governo del territorio”

Prima di esprimere modeste considerazioni sul presente-futuro della legislazione urbanistica campana, una breve premessa è doverosa per comprendere il “clima” italiano e campano. Nella disciplina urbanistica, l’Italia non è più un modello o Paese guida da cui attingere buone pratiche o innovazioni tecnico-giuridiche, e la Campania, in maniera particolare, paga le conseguenze peggiori poiché le maggioranze politiche espresse dai cittadini hanno privilegiato ristretti ceti sociali dirigenziali e clientelari, ma negando diritti costituzionali a buona parte della popolazione. La scelta politica principale è stata quella di ignorare la corretta disciplina urbanistica per mercificare il territorio, trascurare le bellezze paesaggistiche creando disvalore, danni sociali e ambientali diffusi. Il mantra del mercato diffonde il vizio della corruzione, ed è insita nella famigerata rendita fondiaria ed immobiliare, che in Italia non è stata contrastata ma accettata, e spartita fra pochi. Nel resto d’Europa la gestione urbana è nel solco dell’ideologia liberale ma gli altri Paesi sono ben consapevoli del fatto che la rendita assoluta nelle mani private sia un furto inaccettabile per lo Stato, e pertanto non hanno rinunciato al ruolo attivo e pubblicistico della Pubblica Amministrazione. In Italia, la maggiore diffusione di questa patologia (rendite parassitarie e disordine urbano) risale al secondo dopo guerra, nonostante una avanzata legislazione nazionale L. 1150/1942 che ambiva a fare bene i piani, e nonostante si conoscessero gli effetti perversi sin dall”800 (Hans Bernoulli, 1876-1969). L’evidenza patologica si ebbe con la sconfitta della proposta di riforma urbanistica (Sullo, 1962). Il ceto dirigente italiano scelse la teologia liberista per rubare risorse allo Stato ed accumularle facilmente nelle tasche private (circa 800/1000 miliardi di euro; Blečić, Lo scandalo urbanistico 50 anni dopo, FrancoAngeli, 2017), cioè di chi influisce sulle scelte pianificatorie delle trasformazioni urbanistiche. Un dato inquietante rilevato dall’ANAC nel Rapporto 2020 dice che fra i settori più colpiti dalla corruzione il 74% riguarda gli appalti pubblici. Nella letteratura tali fenomeni speculativi – disordine spaziale e istituzionale – sono associati anche al carattere criminogeno del ceto dirigente che ha la forza di influenzare e determinare le scelte politiche dei piani, agendo come «soggetto politico e referente culturale, in grado di organizzare un proprio modo di produzione» (D. De Leo, Mafie&Urbanistica, FrancoAngeli, 2015). Queste scelte, col trascorrere dei decenni, hanno deformato la struttura capitalista italiana stimolando la crescita delle rendite parassitarie ma penalizzando la capacità produttiva del sistema Paese. La rendita è la classica accumulazione capitalista sganciata dal lavoro, e questo fenomeno si è diffuso in tutta Italia per l’eccessiva presenza di seconde, terze abitazioni creando un corto circuito sociale ed economico.

Da ciò possiamo cominciare a desumere e riconoscere il fatto che i problemi nelle città italiane non derivano tanto dalle leggi ma dalla condotta delle istituzioni politiche, e non dal fatto che si voglia imporre una strategia o una pianificazione ma dall’assenza di valori costituzionali e di piani fatti bene, edulcorati e condizionati proprio dalle famigerate rendite parassitarie.

Nel resto d’Europa, i ceti dirigenti hanno preferito conservare l’approccio socialista (pubblicistico), sia formando adeguatamente la pubblica amministrazione e sia sviluppando capacità di governare il meccanismo della rendita, tassandola adeguatamente con il recupero diretto dei plusvalori ma progettando corretti piani urbanistici, con densità equilibrate e servizi di prossimità. Ad oggi, il modello migliore sembra essere “SoBoN” di Monaco di Baviera, attraverso una adeguata e normale regia pubblica che pianifica e concorda gli interventi di rigenerazione urbana, e preleva una corretta tassazione della rendita (recupero diretto del plusvalore fondiario) per costruire la “città pubblica” con servizi di welfare urbano e sociale. Il problema urbanistico campano è tutto qui: l’incapacità di costruire adeguatamente la “città pubblica” (standard e servizi) rispettando l’enorme valore ambientale esistente (paesaggio e patrimonio storico).

L’effetto di deregolamentare il regime giuridico dei suoli trascurando la scienza dell’urbanistica creò danni economici per lo Stato e disuguaglianze territoriali, ma ciò fu limitato nelle Regioni di sinistra che scelsero di controllare la rendita e potenziarono gli standard utilizzando la disciplina urbanistica, tant’è che esistono territori più o meno pianificati. Quelle Regioni che scelsero maggioranze politiche comuniste/socialiste oggi ereditano città attrezzate meglio con insediamenti urbani più progrediti, accoglienti ed attrattivi, sfruttando anche l’usurpazione di un’iniqua ed ingiusta distribuzione delle tasse che favorisce alcune aree (pianura padana) a danno di molte altre (Sud e non solo). Queste differenti ed opposte scelte politiche creano i primi grandi divari territoriali che stimolano l’emigrazione. La Regione Campania è fra i territori meno pianificati e maggiormente distrutti dai processi speculativi, nonostante la straordinaria bellezza del patrimonio costruito ereditato, poiché l’esplosione urbana avvenuta dal secondo dopo guerra in poi ha catturato ed avvolto secoli di storia.

ISTAT, lo spopolamento del Sud con il calo demografico e l’emigrazione dei giovani, 2023.

Dal secondo dopo guerra in poi le istituzioni campane hanno dimostrato una incapacità nell’applicare i diritti costituzionali ribaditi nel famoso DM 1444/68, una scarsa tutela delle caratteristiche paesaggistiche, naturali, storiche, e scarsa tutela delle zone rurali favorendo un’espansione senza limiti che ha creato aree urbane estese determinando l’obsolescenza dei confini amministrativi; poi a partire dagli anni ’90 sono iniziati i fenomeni di contrazione demografica; mentre le amministrazioni non hanno saputo governare i fenomeni di concentrazione e dispersione delle attività e delle funzioni che determinano i flussi di persone e merci. La globalizzazione ha favorito la contrazione demografica nei comuni centroidi mentre l’eccessiva concentrazione ha costruito agglomerati congestionati con gravi carenze di standard nei quartieri (zone consolidate) ed alta dispersione (periurbano e rururbano), che favorisce disuguaglianze territoriali intollerabili, e sono altrettanto noti i fenomeni di abusivismo edilizio, rischio sismico ed idrogeologico che diventano drammatiche emergenze per l’assenza di prevenzione primaria.

Di fronte a tale eredità complessa e complicata, ed anche criminale, non si ha il coraggio di proporre cambiamenti radicali, ma si immagina che i soggetti privati siano guidati da un’etica ed un senso di responsabilità migliori di chiunque altro. Si crede che i soggetti economicamente più forti debbano indirizzare le scelte politiche per concedere, in maniera paternalistica, la costruzione dei diritti costituzionali. La storia urbana italiana dimostra in maniera inequivocabile che il famigerato mercato è stata la favola raccontata alle masse per arricchirsi a danno della collettività, e tutt’oggi tale narrazione viene propinata senza alcun pudore.

Nonostante ciò non si deve credere che ogni investitore o soggetto attuatore sia uno speculatore perché non è così, ed in Campania sembra mancare la volontà politica ed istituzionale nel realizzare un serio coordinamento pubblico capace di ottenere l’interesse generale affrontando i problemi urbani (carenza di servizi), sociali ed ambientali degli abitanti costretti a sopravvivere, in numerosi ed estesi “brani urbani”, in disordinati agglomerati di mera merce edilizia privi o carenti di servizi. Il paradosso italiano è che le aree urbane che necessitano di reali e concreti progetti di rigenerazione urbana sono quasi tutte al Sud, ma le istituzioni appaiano del tutto incapaci di applicare la Costituzione, e di liberare la creatività dei progettisti, per restituire diritti a quegli abitanti, costretti ad emigrare, ancora oggi, per vivere più dignitosamente.

Il D.L.R. Campania n.369 del 19/06/2023 modifiche alla L.R. Campania 16/2004 “Norme sul governo del territorio” con un ritardo di 28 anni (riforma INU 1995) si adegua agli indirizzi “strutturali” (Piano Strutturale Urbanistico, PSU) ed “operativi” (Programmi Operativi, P.O.) della pianificazione urbanistica (art. 22 e 23). I livelli sono due: strutturale ed operativo con un sottolivello attuativo (Piani Attuativi, PA), ed infine, ovviamente il Regolamento Urbanistico Edilizio (RUE). Il livello strutturale del piano (PSU) indica le destinazioni d’uso, individua gli indici e i parametri di densità, gli ambiti di intervento ed i fabbisogni pregressi non soddisfatti in termini di dotazioni ecologiche, attrezzature e servizi di interesse collettivo, e le potenzialità insediative di riuso, rigenerazione e densificazione all’interno del territorio urbanizzato. Se da un lato la norma ambisce a “recuperare il tempo perduto” dall’altro lato l’indirizzo appare programmatorio-strategico anziché della pianificazione che interviene sull’intero territorio comunale ma non focalizza i problemi urbani specifici della Campania. La norma, paragonata a quella delle Regioni Toscana, Lombardia ed Emilia Romagna, appare carente sotto il profilo culturale, soprattutto dal punto di vista “territorialista” trascurando concetti come “patrimonio territoriale“, “invarianti strutturali” e “statuto del territorio“, così si limita a copiare alcuni indirizzi europei e nazionali di carattere strategico, ma quella campana non regolamenta la creazione di un quadro di conoscenza di tutto il territorio, cioè non indica l’analisi e la valutazione dei tessuti urbani esistenti, ma si affida ad un elenco di buone intenzioni (art.2). La Regione Toscana ha una legge sul governo del territorio (L.R. 65/2014 aggiornata nel 2023) scritta in 9 Titoli e 256 articoli; mentre la norma campana (L.R. 16/2004 in fase di aggiornamento) è articolata in soli 3 Titoli e 50 articoli. Oltre alle differenze sui principi (patrimonio territoriale, invarianti strutturali, statuto del territorio), la Toscana norma nel Titolo II procedure e partecipazione con 27 articoli; nel Titolo III con 17 articoli norma gli istituti della collaborazione (accordi di pianificazione e Conferenza paritetica); e nel Titolo IV con 30 articoli la tutela del paesaggio (territorio rurale) e la qualità del territorio (qualità degli insediamenti); nel Titolo V con 42 articoli troviamo gli atti di governo del territorio e la rigenerazione urbana e nel Titolo VI troviamo l’attività edilizia. La Regione Campania norma in un solo Titolo (II) e 30 articoli ciò che la Toscana norma con ben 4 Titoli (V, VI, VII, VIII) in 133 articoli. Le differenze estensive sono troppo ampie per normare la stessa materia; forse la Toscana ha esagerato oppure la Campania è troppo riduttiva. In Campania si trascura la condivisione e pubblicizzazione di una approfondita banca dati informatizzata degli insediamenti urbani, sinonimo di conoscenza condivisa a tutti. C’è una scarsa focalizzazione sulle strutture urbane estese e l’ennesima sottostima del disordine urbano esistente.

Dal punto di vista del dimensionamento dei piani e dei diritti costituzionali, la norma campana (art. 31) si limita a confermare lo standard minimo previsto dal DM 1444/68, appena 18 mq/ab, mentre altre Regioni sono arrivate a 30 mq/ab già molti anni fa, e la stessa Regione Campania negli anni ’70 prescriveva 30 mq/ab. Questa scelta riduttiva degli standard è in contraddizione con gli stessi obiettivi del disegno di legge che chiede il «rafforzamento del verde e degli spazi urbani» (art. 2). Dal punto di vista dell’attuazione la norma prevede la perequazione di comparto (artt. 32 e 33) e non quella diffusa.

La norma chiede ai Comuni di contenere il consumo di suolo agricolo limitando le espansioni per preferire interventi rigenerativi dentro le zone consolidate, e tutto è ciò è auspicabile [evitare di consumare altro suolo] ma emergono subito difficoltà da superare poiché la realtà campana abbonda di zone congestionate ed affollate, che necessitano di essere decongestionate per fare spazio a standard di quartiere assenti. In Campania, com’è noto, insistono numerosi centri urbani a rischio vulcanico. Il D.L.R. intende continuare sul piano della “semplificazione” dei processi di trasformazione urbana scommettendo sull’interesse dei soggetti privati nel programmare nuove lottizzazioni private; la norma sembra voler dire: la “semplificazione” (in taluni casi permesso di costruire convenzionato e SCIA) può fare a meno della corretta pianificazione urbana, per preferire e continuare con un approccio di programmazioni strategiche (c. 3 art. 3) suggerendo ai Comuni un elenco di “azioni” (art. 2) da adottare (azioni condivisibili) ed attrarre gli investitori privati (c. 2 art. 33 ter) che potranno presentare un proprio “programma operativo” sfruttando gli incentivi (c. 7 art. 33 quater), ed accelerando tali processi attraverso la “dichiarazione di pubblica utilità”.

Lo scopo dell’urbanistica non è il profitto dei privati ma costruire diritti per tutti gli abitanti, e l’approccio teologico liberale ampiamente diffuso in Italia crede che l’indirizzo strategico dei piani possa ottenere risposte adeguate e in tempi più rapidi.

La rigenerazione urbana è prevista dal c. 9 bis art. 23 (D.L. 314/2022) sempre attraverso l’approccio strategico ed un elenco di “azioni prioritarie” da progettare; mentre nel comma 9 ter dell’art. 23 continuano le gaffe culturali credendo che gli incentivi, i premi e l’innovazione tecnologica determinano qualità architettonica ed urbanistica. Il comma 9 octies dell’art. 23 intende favorire i trasferimenti di volumi degli edifici posti in aree ad alto rischio idrogeologico da frana e da alluvione attraverso l’incremento volumetrico del 50% dell’indice fondiario per l’edilizia residenziale. L’incentivo serve a sostenere la fattibilità economica degli interventi, e non è negativo in sé. La rigenerazione urbana potrà essere attuata nei quartieri residenziali degradati, aree dismesse e periferie, attraverso P.O. (art. 33 quater).

La norma introduce regole per favorire interventi di Edilizia Residenziale Sociale (art. 48 bis), e per gli interventi di sostituzione edilizia nelle aree dismesse bisogna destinare almeno una quota del 40% della volumetria lorda preesistente e ricostruita per l’ERS (9 decies art. 23).

Dal punto di vista della trasparenza informatica (art. 17), nonostante si millanti una condivisione, il geoportale della Regione Campania non presenta una completa condivisione di dati informatici circa gli insediamenti urbani come fanno altre Regioni (Toscana, Emilia Romagna, Lombardia…). L’assenza di dati condivisi è un evidente ostracismo ed un enorme danno pubblico poiché limitando la capacità creativa e progettuale delle libere professioni si limitano i diritti collettivi di tutti.

La recente attività edilizia campana continua a costruire la negazione della città, perché non si elabora un corretto assetto del territorio con un disegno di suolo, e quindi si assiste alla costruzione di nuovi edifici multipiano a torre scompaginati, a volte isolati, nelle forme aperte sia nelle espansioni periferiche, e sia riempendo alcuni vuoti urbani dentro le zone consolidate aumentando le congestioni esistenti. E queste recenti lottizzazioni spesso non hanno contribuito a costruire la “città pubblica”, poiché gli stessi Enti pubblici sembrano incapaci di applicare l’interesse pubblico. Questa cattiva gestione urbana è alla base delle disuguaglianze economiche e sociali, che producono effetti già noti: la concentrazione di ricchezze parassitarie che sfruttano le rendite, il disvalore della città stessa perché non produce ricchezza distribuita e quindi si stimola l’espulsione di importanti risorse umane che emigrano verso Sistemi Locali del Lavoro gestiti meglio, perché più attrattivi e più sostenibili.

Nella norma si leggono altre gaffe culturali poiché si confonde e ci si affida alla “programmazione” (economica) anziché alla pianificazione, e poi si crede che la rigenerazione urbana si possa realizzare anche attraverso il recupero delle superfetazioni (locali tecnici, art. 45 ter).

In Italia prosegue un limite culturale viziato dalla vecchia scelta liberista, e pertanto il ceto dirigente continua a svalutare il sapere, la conoscenza, per favorire l’egoismo di settori privati che usurpano i diritti collettivi sfruttando il territorio. La teologia preferisce il carattere programmatorio e non pianificatorio perché lo giudica più veloce, ma si tratta di una scelta politica ideologica sia per accontentare l’immagine propagandistica dei Sindaci che promettono interventi puntuali da realizzare entro il mandato elettorale, e sia per sostenere gli interessi privati. Questa scelta è ampiamente radicata tant’è che la legge sui contratti pubblici prevede il partenariato pubblico privato nella programmazione e realizzazione delle opere pubbliche (c. 2 art. 37 D.Lgs. n.36/2023). Tutto ciò non è sconveniente ma in Campania la maggioranza dei Comuni non riesce ad ottenere significativi miglioramenti della morfologia urbana per assenza di cultura fra gli amministratori circa la corretta pianificazione urbana.

La mentalità “programmatoria” è stata trasferita ai funzionari (ormai meri burocrati) che recepiscono pedissequamente gli indirizzi europei e riducono il ruolo dell’Amministrazione alla sola compilazione di schede e bandi per ottenere fondi. Non adottando più piani urbanistici rispondenti a idee, a valori identitari, territoriali, ci si limita a compilare carte; ed in tal senso l’organo politico appare persino inutile. Gli Enti locali campani appaiono carenti anche in questo aspetto “programmatorio”, ragion per cui non si ottengono risorse, ma la politica dovrebbe pensare ed esprimere idee di valore (caratteri identitari dei luoghi e del territorio per stimolare nuova occupazione utile), e poi decidere, al fine di applicare gli indirizzi della Costituzione, invece per assenza di piani fatti bene, accade che servizi e diritti sono negati e sottratti stimolando l’emigrazione verso il Nord e l’estero di giovani laureati, e studenti universitari. In assenza di cultura della corretta pianificazione urbanistica, ciò che resta è la mera accumulazione capitalista attraverso volgarissimi e violenti piani edilizi che realizzano la negazione della città, fra l’altro creando un disvalore.

A partire dagli anni ’80, la classe dirigente italiana attraverso norme e regole ha scelto di sminuire la figura professionale dell’architetto-artigiano (e del libero professionista), la stessa che ha dato lustro ed identità all’Italia intera. La teologia liberale chiama tutto ciò “competitività di mercato”, ma gli strumenti giuridici adottati assomigliano alla società medioevale che si basava sul vassallaggio. Il legislatore italiano, da molti anni ormai, ha condotto e vinto una guerra incivile contro le libere professioni, per addomesticarle, snaturarle, umiliare e mortificarle, per sfruttare a basso o bassissimo costo le competenze tecniche. Il famigerato D.Lgs n.36/2023 conferma l’edulcorazione culturale dell’operatore economico (un tecnico non è un operatore economico) mentre all’interno della pubblica amministrazione si sfrutta l’impiego di un tecnico ma sottopagato (il cosiddetto istruttore tecnico/RUP) per assolvere a tutti i compiti di indirizzo, programmazione, progettazione, controllo, esecuzione e gestione del processo delle opere pubbliche realizzabili anche con i subappalti a cascata. Le opere pubbliche sopra soglia sono progettate da operatori economici, spesso da archistar simili a multinazionali della progettazione.

La scommessa è quella di credere al mercato e quindi continuare a sottovalutare i privilegi egoistici della rendita parassitaria poiché c’è il serio rischio che i privati potranno attribuirsi da soli gli incentivi previsti ed approvati dalla Giunta comunale (cioè dal Sindaco). La maggioranza politica scommette su nuovi cicli economici attraverso l’iniziativa privata, ma nei Paesi civili e normali (progrediti), le istituzioni locali rappresentano correttamente l’interesse generale proprio attraverso la pianificazione, cioè fanno l’opposto di quello che accade in Campania.

Un pensiero riguardo “Considerazioni sulla gestione delle città e sul D.G. Campania n. 369/2023”

  1. Sono un fan di questi articoli e condivido la situazione disperata del Sud (e della nostra Salerno!). Ho una domanda però… se posso chiedere ad una persona che sa moltissimo 😀
    Vorrei chiedere circa una zona di Salerno ad inizio Novecento

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