Considerazioni sulla gestione delle città e sul D.G. Campania n. 369/2023

Considerazioni sulla gestione delle città e sulla Delibera di Giunta regionale Campania n. 369/2023 modifiche alla Legge Regionale (L.R.) Campania 16/2004 “Norme sul governo del territorio”

Prima di esprimere modeste considerazioni sul presente-futuro della legislazione urbanistica campana, una breve premessa è doverosa per comprendere il “clima” italiano e campano. Nella disciplina urbanistica, l’Italia non è più un modello o Paese guida da cui attingere buone pratiche o innovazioni tecnico-giuridiche, e la Campania, in maniera particolare, paga le conseguenze peggiori poiché le maggioranze politiche espresse dai cittadini hanno privilegiato ristretti ceti sociali dirigenziali e clientelari, ma negando diritti costituzionali a buona parte della popolazione. La scelta politica principale è stata quella di ignorare la corretta disciplina urbanistica per mercificare il territorio, trascurare le bellezze paesaggistiche creando disvalore, danni sociali e ambientali diffusi. Il mantra del mercato diffonde il vizio della corruzione, ed è insita nella famigerata rendita fondiaria ed immobiliare, che in Italia non è stata contrastata ma accettata, e spartita fra pochi. Nel resto d’Europa la gestione urbana è nel solco dell’ideologia liberale ma gli altri Paesi sono ben consapevoli del fatto che la rendita assoluta nelle mani private sia un furto inaccettabile per lo Stato, e pertanto non hanno rinunciato al ruolo attivo e pubblicistico della Pubblica Amministrazione. In Italia, la maggiore diffusione di questa patologia (rendite parassitarie e disordine urbano) risale al secondo dopo guerra, nonostante una avanzata legislazione nazionale L. 1150/1942 che ambiva a fare bene i piani, e nonostante si conoscessero gli effetti perversi sin dall”800 (Hans Bernoulli, 1876-1969). L’evidenza patologica si ebbe con la sconfitta della proposta di riforma urbanistica (Sullo, 1962). Il ceto dirigente italiano scelse la teologia liberista per rubare risorse allo Stato ed accumularle facilmente nelle tasche private (circa 800/1000 miliardi di euro; Blečić, Lo scandalo urbanistico 50 anni dopo, FrancoAngeli, 2017), cioè di chi influisce sulle scelte pianificatorie delle trasformazioni urbanistiche. Un dato inquietante rilevato dall’ANAC nel Rapporto 2020 dice che fra i settori più colpiti dalla corruzione il 74% riguarda gli appalti pubblici. Nella letteratura tali fenomeni speculativi – disordine spaziale e istituzionale – sono associati anche al carattere criminogeno del ceto dirigente che ha la forza di influenzare e determinare le scelte politiche dei piani, agendo come «soggetto politico e referente culturale, in grado di organizzare un proprio modo di produzione» (D. De Leo, Mafie&Urbanistica, FrancoAngeli, 2015). Queste scelte, col trascorrere dei decenni, hanno deformato la struttura capitalista italiana stimolando la crescita delle rendite parassitarie ma penalizzando la capacità produttiva del sistema Paese. La rendita è la classica accumulazione capitalista sganciata dal lavoro, e questo fenomeno si è diffuso in tutta Italia per l’eccessiva presenza di seconde, terze abitazioni creando un corto circuito sociale ed economico.

Da ciò possiamo cominciare a desumere e riconoscere il fatto che i problemi nelle città italiane non derivano tanto dalle leggi ma dalla condotta delle istituzioni politiche, e non dal fatto che si voglia imporre una strategia o una pianificazione ma dall’assenza di valori costituzionali e di piani fatti bene, edulcorati e condizionati proprio dalle famigerate rendite parassitarie.

Nel resto d’Europa, i ceti dirigenti hanno preferito conservare l’approccio socialista (pubblicistico), sia formando adeguatamente la pubblica amministrazione e sia sviluppando capacità di governare il meccanismo della rendita, tassandola adeguatamente con il recupero diretto dei plusvalori ma progettando corretti piani urbanistici, con densità equilibrate e servizi di prossimità. Ad oggi, il modello migliore sembra essere “SoBoN” di Monaco di Baviera, attraverso una adeguata e normale regia pubblica che pianifica e concorda gli interventi di rigenerazione urbana, e preleva una corretta tassazione della rendita (recupero diretto del plusvalore fondiario) per costruire la “città pubblica” con servizi di welfare urbano e sociale. Il problema urbanistico campano è tutto qui: l’incapacità di costruire adeguatamente la “città pubblica” (standard e servizi) rispettando l’enorme valore ambientale esistente (paesaggio e patrimonio storico).

L’effetto di deregolamentare il regime giuridico dei suoli trascurando la scienza dell’urbanistica creò danni economici per lo Stato e disuguaglianze territoriali, ma ciò fu limitato nelle Regioni di sinistra che scelsero di controllare la rendita e potenziarono gli standard utilizzando la disciplina urbanistica, tant’è che esistono territori più o meno pianificati. Quelle Regioni che scelsero maggioranze politiche comuniste/socialiste oggi ereditano città attrezzate meglio con insediamenti urbani più progrediti, accoglienti ed attrattivi, sfruttando anche l’usurpazione di un’iniqua ed ingiusta distribuzione delle tasse che favorisce alcune aree (pianura padana) a danno di molte altre (Sud e non solo). Queste differenti ed opposte scelte politiche creano i primi grandi divari territoriali che stimolano l’emigrazione. La Regione Campania è fra i territori meno pianificati e maggiormente distrutti dai processi speculativi, nonostante la straordinaria bellezza del patrimonio costruito ereditato, poiché l’esplosione urbana avvenuta dal secondo dopo guerra in poi ha catturato ed avvolto secoli di storia.

ISTAT, lo spopolamento del Sud con il calo demografico e l’emigrazione dei giovani, 2023.

Dal secondo dopo guerra in poi le istituzioni campane hanno dimostrato una incapacità nell’applicare i diritti costituzionali ribaditi nel famoso DM 1444/68, una scarsa tutela delle caratteristiche paesaggistiche, naturali, storiche, e scarsa tutela delle zone rurali favorendo un’espansione senza limiti che ha creato aree urbane estese determinando l’obsolescenza dei confini amministrativi; poi a partire dagli anni ’90 sono iniziati i fenomeni di contrazione demografica; mentre le amministrazioni non hanno saputo governare i fenomeni di concentrazione e dispersione delle attività e delle funzioni che determinano i flussi di persone e merci. La globalizzazione ha favorito la contrazione demografica nei comuni centroidi mentre l’eccessiva concentrazione ha costruito agglomerati congestionati con gravi carenze di standard nei quartieri (zone consolidate) ed alta dispersione (periurbano e rururbano), che favorisce disuguaglianze territoriali intollerabili, e sono altrettanto noti i fenomeni di abusivismo edilizio, rischio sismico ed idrogeologico che diventano drammatiche emergenze per l’assenza di prevenzione primaria.

Di fronte a tale eredità complessa e complicata, ed anche criminale, non si ha il coraggio di proporre cambiamenti radicali, ma si immagina che i soggetti privati siano guidati da un’etica ed un senso di responsabilità migliori di chiunque altro. Si crede che i soggetti economicamente più forti debbano indirizzare le scelte politiche per concedere, in maniera paternalistica, la costruzione dei diritti costituzionali. La storia urbana italiana dimostra in maniera inequivocabile che il famigerato mercato è stata la favola raccontata alle masse per arricchirsi a danno della collettività, e tutt’oggi tale narrazione viene propinata senza alcun pudore.

Nonostante ciò non si deve credere che ogni investitore o soggetto attuatore sia uno speculatore perché non è così, ed in Campania sembra mancare la volontà politica ed istituzionale nel realizzare un serio coordinamento pubblico capace di ottenere l’interesse generale affrontando i problemi urbani (carenza di servizi), sociali ed ambientali degli abitanti costretti a sopravvivere, in numerosi ed estesi “brani urbani”, in disordinati agglomerati di mera merce edilizia privi o carenti di servizi. Il paradosso italiano è che le aree urbane che necessitano di reali e concreti progetti di rigenerazione urbana sono quasi tutte al Sud, ma le istituzioni appaiano del tutto incapaci di applicare la Costituzione, e di liberare la creatività dei progettisti, per restituire diritti a quegli abitanti, costretti ad emigrare, ancora oggi, per vivere più dignitosamente.

Il D.L.R. Campania n.369 del 19/06/2023 modifiche alla L.R. Campania 16/2004 “Norme sul governo del territorio” con un ritardo di 28 anni (riforma INU 1995) si adegua agli indirizzi “strutturali” (Piano Strutturale Urbanistico, PSU) ed “operativi” (Programmi Operativi, P.O.) della pianificazione urbanistica (art. 22 e 23). I livelli sono due: strutturale ed operativo con un sottolivello attuativo (Piani Attuativi, PA), ed infine, ovviamente il Regolamento Urbanistico Edilizio (RUE). Il livello strutturale del piano (PSU) indica le destinazioni d’uso, individua gli indici e i parametri di densità, gli ambiti di intervento ed i fabbisogni pregressi non soddisfatti in termini di dotazioni ecologiche, attrezzature e servizi di interesse collettivo, e le potenzialità insediative di riuso, rigenerazione e densificazione all’interno del territorio urbanizzato. Se da un lato la norma ambisce a “recuperare il tempo perduto” dall’altro lato l’indirizzo appare programmatorio-strategico anziché della pianificazione che interviene sull’intero territorio comunale ma non focalizza i problemi urbani specifici della Campania. La norma, paragonata a quella delle Regioni Toscana, Lombardia ed Emilia Romagna, appare carente sotto il profilo culturale, soprattutto dal punto di vista “territorialista” trascurando concetti come “patrimonio territoriale“, “invarianti strutturali” e “statuto del territorio“, così si limita a copiare alcuni indirizzi europei e nazionali di carattere strategico, ma quella campana non regolamenta la creazione di un quadro di conoscenza di tutto il territorio, cioè non indica l’analisi e la valutazione dei tessuti urbani esistenti, ma si affida ad un elenco di buone intenzioni (art.2). La Regione Toscana ha una legge sul governo del territorio (L.R. 65/2014 aggiornata nel 2023) scritta in 9 Titoli e 256 articoli; mentre la norma campana (L.R. 16/2004 in fase di aggiornamento) è articolata in soli 3 Titoli e 50 articoli. Oltre alle differenze sui principi (patrimonio territoriale, invarianti strutturali, statuto del territorio), la Toscana norma nel Titolo II procedure e partecipazione con 27 articoli; nel Titolo III con 17 articoli norma gli istituti della collaborazione (accordi di pianificazione e Conferenza paritetica); e nel Titolo IV con 30 articoli la tutela del paesaggio (territorio rurale) e la qualità del territorio (qualità degli insediamenti); nel Titolo V con 42 articoli troviamo gli atti di governo del territorio e la rigenerazione urbana e nel Titolo VI troviamo l’attività edilizia. La Regione Campania norma in un solo Titolo (II) e 30 articoli ciò che la Toscana norma con ben 4 Titoli (V, VI, VII, VIII) in 133 articoli. Le differenze estensive sono troppo ampie per normare la stessa materia; forse la Toscana ha esagerato oppure la Campania è troppo riduttiva. In Campania si trascura la condivisione e pubblicizzazione di una approfondita banca dati informatizzata degli insediamenti urbani, sinonimo di conoscenza condivisa a tutti. C’è una scarsa focalizzazione sulle strutture urbane estese e l’ennesima sottostima del disordine urbano esistente.

Dal punto di vista del dimensionamento dei piani e dei diritti costituzionali, la norma campana (art. 31) si limita a confermare lo standard minimo previsto dal DM 1444/68, appena 18 mq/ab, mentre altre Regioni sono arrivate a 30 mq/ab già molti anni fa, e la stessa Regione Campania negli anni ’70 prescriveva 30 mq/ab. Questa scelta riduttiva degli standard è in contraddizione con gli stessi obiettivi del disegno di legge che chiede il «rafforzamento del verde e degli spazi urbani» (art. 2). Dal punto di vista dell’attuazione la norma prevede la perequazione di comparto (artt. 32 e 33) e non quella diffusa.

La norma chiede ai Comuni di contenere il consumo di suolo agricolo limitando le espansioni per preferire interventi rigenerativi dentro le zone consolidate, e tutto è ciò è auspicabile [evitare di consumare altro suolo] ma emergono subito difficoltà da superare poiché la realtà campana abbonda di zone congestionate ed affollate, che necessitano di essere decongestionate per fare spazio a standard di quartiere assenti. In Campania, com’è noto, insistono numerosi centri urbani a rischio vulcanico. Il D.L.R. intende continuare sul piano della “semplificazione” dei processi di trasformazione urbana scommettendo sull’interesse dei soggetti privati nel programmare nuove lottizzazioni private; la norma sembra voler dire: la “semplificazione” (in taluni casi permesso di costruire convenzionato e SCIA) può fare a meno della corretta pianificazione urbana, per preferire e continuare con un approccio di programmazioni strategiche (c. 3 art. 3) suggerendo ai Comuni un elenco di “azioni” (art. 2) da adottare (azioni condivisibili) ed attrarre gli investitori privati (c. 2 art. 33 ter) che potranno presentare un proprio “programma operativo” sfruttando gli incentivi (c. 7 art. 33 quater), ed accelerando tali processi attraverso la “dichiarazione di pubblica utilità”.

Lo scopo dell’urbanistica non è il profitto dei privati ma costruire diritti per tutti gli abitanti, e l’approccio teologico liberale ampiamente diffuso in Italia crede che l’indirizzo strategico dei piani possa ottenere risposte adeguate e in tempi più rapidi.

La rigenerazione urbana è prevista dal c. 9 bis art. 23 (D.L. 314/2022) sempre attraverso l’approccio strategico ed un elenco di “azioni prioritarie” da progettare; mentre nel comma 9 ter dell’art. 23 continuano le gaffe culturali credendo che gli incentivi, i premi e l’innovazione tecnologica determinano qualità architettonica ed urbanistica. Il comma 9 octies dell’art. 23 intende favorire i trasferimenti di volumi degli edifici posti in aree ad alto rischio idrogeologico da frana e da alluvione attraverso l’incremento volumetrico del 50% dell’indice fondiario per l’edilizia residenziale. L’incentivo serve a sostenere la fattibilità economica degli interventi, e non è negativo in sé. La rigenerazione urbana potrà essere attuata nei quartieri residenziali degradati, aree dismesse e periferie, attraverso P.O. (art. 33 quater).

La norma introduce regole per favorire interventi di Edilizia Residenziale Sociale (art. 48 bis), e per gli interventi di sostituzione edilizia nelle aree dismesse bisogna destinare almeno una quota del 40% della volumetria lorda preesistente e ricostruita per l’ERS (9 decies art. 23).

Dal punto di vista della trasparenza informatica (art. 17), nonostante si millanti una condivisione, il geoportale della Regione Campania non presenta una completa condivisione di dati informatici circa gli insediamenti urbani come fanno altre Regioni (Toscana, Emilia Romagna, Lombardia…). L’assenza di dati condivisi è un evidente ostracismo ed un enorme danno pubblico poiché limitando la capacità creativa e progettuale delle libere professioni si limitano i diritti collettivi di tutti.

La recente attività edilizia campana continua a costruire la negazione della città, perché non si elabora un corretto assetto del territorio con un disegno di suolo, e quindi si assiste alla costruzione di nuovi edifici multipiano a torre scompaginati, a volte isolati, nelle forme aperte sia nelle espansioni periferiche, e sia riempendo alcuni vuoti urbani dentro le zone consolidate aumentando le congestioni esistenti. E queste recenti lottizzazioni spesso non hanno contribuito a costruire la “città pubblica”, poiché gli stessi Enti pubblici sembrano incapaci di applicare l’interesse pubblico. Questa cattiva gestione urbana è alla base delle disuguaglianze economiche e sociali, che producono effetti già noti: la concentrazione di ricchezze parassitarie che sfruttano le rendite, il disvalore della città stessa perché non produce ricchezza distribuita e quindi si stimola l’espulsione di importanti risorse umane che emigrano verso Sistemi Locali del Lavoro gestiti meglio, perché più attrattivi e più sostenibili.

Nella norma si leggono altre gaffe culturali poiché si confonde e ci si affida alla “programmazione” (economica) anziché alla pianificazione, e poi si crede che la rigenerazione urbana si possa realizzare anche attraverso il recupero delle superfetazioni (locali tecnici, art. 45 ter).

In Italia prosegue un limite culturale viziato dalla vecchia scelta liberista, e pertanto il ceto dirigente continua a svalutare il sapere, la conoscenza, per favorire l’egoismo di settori privati che usurpano i diritti collettivi sfruttando il territorio. La teologia preferisce il carattere programmatorio e non pianificatorio perché lo giudica più veloce, ma si tratta di una scelta politica ideologica sia per accontentare l’immagine propagandistica dei Sindaci che promettono interventi puntuali da realizzare entro il mandato elettorale, e sia per sostenere gli interessi privati. Questa scelta è ampiamente radicata tant’è che la legge sui contratti pubblici prevede il partenariato pubblico privato nella programmazione e realizzazione delle opere pubbliche (c. 2 art. 37 D.Lgs. n.36/2023). Tutto ciò non è sconveniente ma in Campania la maggioranza dei Comuni non riesce ad ottenere significativi miglioramenti della morfologia urbana per assenza di cultura fra gli amministratori circa la corretta pianificazione urbana.

La mentalità “programmatoria” è stata trasferita ai funzionari (ormai meri burocrati) che recepiscono pedissequamente gli indirizzi europei e riducono il ruolo dell’Amministrazione alla sola compilazione di schede e bandi per ottenere fondi. Non adottando più piani urbanistici rispondenti a idee, a valori identitari, territoriali, ci si limita a compilare carte; ed in tal senso l’organo politico appare persino inutile. Gli Enti locali campani appaiono carenti anche in questo aspetto “programmatorio”, ragion per cui non si ottengono risorse, ma la politica dovrebbe pensare ed esprimere idee di valore (caratteri identitari dei luoghi e del territorio per stimolare nuova occupazione utile), e poi decidere, al fine di applicare gli indirizzi della Costituzione, invece per assenza di piani fatti bene, accade che servizi e diritti sono negati e sottratti stimolando l’emigrazione verso il Nord e l’estero di giovani laureati, e studenti universitari. In assenza di cultura della corretta pianificazione urbanistica, ciò che resta è la mera accumulazione capitalista attraverso volgarissimi e violenti piani edilizi che realizzano la negazione della città, fra l’altro creando un disvalore.

A partire dagli anni ’80, la classe dirigente italiana attraverso norme e regole ha scelto di sminuire la figura professionale dell’architetto-artigiano (e del libero professionista), la stessa che ha dato lustro ed identità all’Italia intera. La teologia liberale chiama tutto ciò “competitività di mercato”, ma gli strumenti giuridici adottati assomigliano alla società medioevale che si basava sul vassallaggio. Il legislatore italiano, da molti anni ormai, ha condotto e vinto una guerra incivile contro le libere professioni, per addomesticarle, snaturarle, umiliare e mortificarle, per sfruttare a basso o bassissimo costo le competenze tecniche. Il famigerato D.Lgs n.36/2023 conferma l’edulcorazione culturale dell’operatore economico (un tecnico non è un operatore economico) mentre all’interno della pubblica amministrazione si sfrutta l’impiego di un tecnico ma sottopagato (il cosiddetto istruttore tecnico/RUP) per assolvere a tutti i compiti di indirizzo, programmazione, progettazione, controllo, esecuzione e gestione del processo delle opere pubbliche realizzabili anche con i subappalti a cascata. Le opere pubbliche sopra soglia sono progettate da operatori economici, spesso da archistar simili a multinazionali della progettazione.

La scommessa è quella di credere al mercato e quindi continuare a sottovalutare i privilegi egoistici della rendita parassitaria poiché c’è il serio rischio che i privati potranno attribuirsi da soli gli incentivi previsti ed approvati dalla Giunta comunale (cioè dal Sindaco). La maggioranza politica scommette su nuovi cicli economici attraverso l’iniziativa privata, ma nei Paesi civili e normali (progrediti), le istituzioni locali rappresentano correttamente l’interesse generale proprio attraverso la pianificazione, cioè fanno l’opposto di quello che accade in Campania.

Messa in sicurezza

Morti e danni causati da eventi naturali sono come una manna dal cielo per gli editori (la TV del dolore), così i media (e social media) sfruttano gli eventi per aumentare l’attenzione dei consumatori ed alzare i margini generati dagli spazi venduti alla pubblicità. Grotteschi dibattiti televisivi sono costruiti in funzione delle emozioni per enfatizzare e drammatizzare gli eventi stimolando polemiche, frustrazioni e maggiore dolore nei confronti degli spettatori, considerati merce e consumatori passivi. Questo meccanismo cinico e perverso è insito ai media ed è voluto degli editori perché aumentano i profitti grazie al dolore delle persone. Lo schema potrebbe favorire una follia di massa, infatti è da pazzi credere che il circo mediatico possa suggerire soluzioni o far ragionare le persone; l’obiettivo degli editori è vendere, e le persone meno sono istruite e più è facile vendere loro ogni tipo di merce: compresa la disinformazione e la politica.

Sono trascorsi decenni da quando il sapere tecnico ha informato le istituzioni attraverso ricerche, analisi, studi, documenti e piani che evidenziano la fragilità sismo-idrogeologica dell’Italia, e le istituzioni politiche in maniera cinica e cialtronesca hanno sottovaluto questi rischi, ormai divulgati ed accessibili a tutti attraverso gli stessi siti internet degli istituti di ricerca, pubblici e privati.

Accademici e professionisti da molti anni denunciano la carenza di finanziamenti pubblici per attuare una corretta pianificazione territoriale ed urbanistica, e con questa denuncia è sottinteso che fino a quando il ceto politico dirigente non farà il suo dovere costituzionale finanziando la messa in sicurezza delle aree urbane e territoriali, gli abitanti saranno costretti a piangere morti e danni dovuti all’inerzia del potere che distrae risorse per soddisfare il tornaconto personale anziché applicare la Costituzione italiana.

In questo corto circuito gli elettori sono corresponsabili poiché non avendo come priorità politica la messa in sicurezza del territorio, e non scegliendo una classe dirigente responsabile e competente mandando ai vertici delle istituzioni politiche individui indegni, i danni sociali ed economici continueranno e peggioreranno. La politica è una cosa seria, ma la maggioranza degli italiani non ha compreso che bisogna affidarsi a persone responsabili, serie, competenti ed ovviamente non corrotte. Un miglioramento in tal senso è possibile attraverso una partecipazione politica attiva, creando un vero partito democratico con un’identità ecologista (bioeconomica) chiara e sincera, e costruito da cittadini attivi capaci e meritevoli.

Storia del lungomare di Salerno

Salerno nel 1608, particolare della lunetta della cripta del Duomo

Il lungomare salernitano è l’esito di una serie di interventi scaturiti dal dibattito politico iniziato durante il Regno d’Italia e prolungato fino all’inizio del secolo Novecento (1860-1915). La città antica è tutta raccolta ed abbarbicata sul colle Bonadies, e le antiche mura cittadine furono realizzate sulla spiaggia poiché il mare costituiva il confine della città medioevale. Nell’epoca della modernità, considerata la particolare e complessa orografia del territorio e le aree già sature, si ritenne necessario ottenere spazi di espansione della città riempiendo ed occupando il mare (la linea naturale di costa della città di Salerno è più arretrata) sia per localizzare nuove funzioni pubbliche e per limitare l’azione naturale delle mareggiate proteggendo gli edifici esistenti, e sia per costruire nuove lottizzazioni per soddisfare il fenomeno dell’urbanesimo (55.093 abitanti nel 1921 e 70.000 abitanti nel 1932). Nel 1914 l’Amministrazione bandì un concorso per la formazione del nuovo piano regolatore delle aree ad oriente della città, che fu vinto dagli ingg. E. Donzelli e N. Cavaccini ed il loro piano fu approvato nel 1922, ma se ne realizzò solo una parte. Nel 1931 l’Amministrazione adottò un nuovo piano di espansione redatto dall’ing. Camillo Guerra interessando aree a Sud-est della città. Per quanto riguarda la zona centrale l’occupazione del mare costruì nuove strade e la via marina (oggi lungomare): l’attuale SS18 Tirrena inferiore, cioè via Roma, Corso Garibaldi e le loro lottizzazioni furono realizzate conquistando il mare; tant’è che la naturale linea di costa, la spiaggia e la battigia sono prossime all’attuale Corso Vittorio Emanuele. Nel Novecento, l’occupazione ed il riempimento del mare continuò in una fase successiva – anni ’40 e ’50 – realizzando l’attuale lungomare Trieste, per ampliare gli spazi creando nuove sistemazioni e giardini pubblici (1945) che trovarono completamento negli anni ’60 del Novecento; l’attuale arredo urbano è del 1991, progettato da Arch. G. Carpentieri, Arch. M. Villani, Ing. N. Sessa, che ha sostituito l’asfalto con un disegno classico e materiali di qualità, e sedute resistenti all’usura della salsedine lungo tutte le aiuole favorendo la socializzazione ed il godimento del paesaggio naturale. Il progetto fu redatto alla fine degli anni 80 ed lavori che durarono circa due anni per un importo di circa in £. 2.800.000.000 su una lunghezza complessiva di 1.300 mt

I fattori principali che connotarono la progettazione furono principalmente due la vegetazione esistente e l’impianto delle aiuole caratteristico del Lungomare Trieste. Su richiesta dei progettisti, la vegetazione dell’epoca, presente in 72 aiuole, fu sottoposta ad una “visita” accurata da parte degli esperti della Forestale per accertarne la consistenza e lo stato di salute; alcune piante tra cui palme di vario tipo avrebbero necessitato di interventi di recupero, situazione che fu segnalata alla committenza visto che nelle somme fissate dall’amministrazione per il progetto non era stato previsto un importo per interventi sulla vegetazione esistente. Dallo stato di consistenza delle piante risultò un valore medio per aiuola di circa £. 25.000.000 pari a un importo totale di circa due miliardi di lire.

In fase di progettazione furono affrontate le principali problematiche presenti all’epoca quali:

  • L’abbassamento, nei tratti a fronte mare, della pavimentazione in asfalto dei viali causato dal movimento sottostante delle acque marine con l’effetto di scalzare il riempimento a sostegno del piano di calpestio;
  • L’inefficacia della rete di raccolta delle acque meteoriche dovuta alla rottura dei pozzetti prodotta dagli apparati radicali richiamati dai ristagni dell’acqua;
  • La varietà della tipologia di panchine di varia natura con sedute danneggiate e di difficile recupero e in ogni caso insufficienti per offrire più sedute ai vari utenti del lungomare;
  • L’illuminazione dei viali con pali di illuminazione stradale.

L’abbassamento della nuova pavimentazione dei viali fu contenuto realizzando un sottofondo in massetto di cemento armato e costruendo una scogliera a ridosso dei muri di contenimento nei tratti più esposti al movimento del mare riducendo in tal modo l’effetto dello scalzamento degli strati sottostanti.  

Il deflusso delle acque meteoriche, visto il danneggiamento del vecchio sistema fognario causato dagli apparati radicali, venne realizzato in superficie sulla pavimentazione, trattandosi di una area pedonale, secondo opportune pendenze convogliate verso il lato mare, deflusso reso possibile dall’assenza di elementi inquinanti quali olii, ecc., sulla pavimentazione.    

L’impostazione progettuale, di rispettare l’impianto del lungomare costituito dalle aiuole rettangolari interrotto dagli slarghi delle aiuole circolari, ha segnato il disegno delle pavimentazioni dei viali a fronte delle aiuole rettangolari e degli slarghi in corrispondenza delle aiuole circolari. Il disegno delle pavimentazioni tenne conto anche di far defluire le acque meteoriche prevedendo delle fasce di contorno delle aiuole, conformate a canaletta, secondo le opportune pendenze.

La progettazione delle sedute ha assecondato l’andamento dell’impianto delle aiuole rettangolari del lungomare con la funzione anche di bordature delle stesse aiuole, accentuandone la peculiarità della passeggiata e offrendo una maggiore disponibilità di sedute. La progettazione delle sedute fu informata anche al principio di contenere il costo di manutenzione assicurando la tenuta nel tempo del manufatto esposto tra l’altro alla salsedine; in effetti dopo circa trent’anni la manutenzione ha richiesto la sola sostituzione delle fasce delle fasce di iroko, scelto all’epoca per la buona resistenza alla salsedine in quanto legno di tipo “grasso”.   

Negli anni precedenti alla realizzazione dell’intervento, circa trenta, furono poste in opera nel lungomare vari tipi di panchine dal legno al cemento senza ottenere un risultato positivo.

La scelta del tipo di illuminazione e della intensità della luce fu dettata in primo luogo per garantire una maggiore sicurezza agli utenti del lungomare nelle ore notturne con lampioni adatti alle zone pedonali dotati di grappoli di globi con lampade a luce bianca per esaltare al meglio la vegetazione anche la sera; nell’insieme veniva conferito un aspetto di vitalità a tutto il lungomare.  

Il lungomare salernitano è un luogo molto importante per i cittadini, e probabilmente è il più identitario della città ma l’Amministrazione non attua il piano di manutenzione lasciando all’incuria l’opera pubblica, così come accade per altre opere pubbliche realizzate in passato.

Sistemazione nuovi giardini, Ufficio Genio Civile, Ing. Emanuele Guerrini, 1945.

Avviare la rigenerazione urbana salernitana

La rigenerazione urbana salernitana parte da un’analisi della complessa e compromessa realtà territoriale costituita da una serie di errori indotti da scelte politiche sbagliate, poiché influenzate dalla teologia che ha costruito il paradigma culturale dominante di una società decadente e nichilista: il capitalismo. Gli effetti sociali ed ambientali di una teologia obsoleta e dannosa sono sotto gli occhi di tutti, e pertanto è necessario rimettere al centro del dibattito pubblico l’utopia concreta, che ci consente di compiere passi in avanti e avviare processi di rigenerazione per aggiustare una complicata realtà urbana. Salerno è parte di una città estesa inserita nel proprio Sistema Locale del Lavoro, in un’area economica marginale e depressa. Le ragioni del sottosviluppo indotto dall’agire politico sono ampiamente note: la teologia capitalista è ricca di contraddizioni e crea aree centrali e marginali in contrapposizione fra loro, cioè la prima sfrutta la seconda; e nella fase attuale della globalizzazione l’Italia diventa marginale. La struttura urbana è influenzata dai processi storici e dall’orografia, dal proprio bacino idrografico, dalla linea di costa e dai sistemi vallivi. Lo sviluppo urbano ha assunto una forma intricata organica e compatta al centro, e reticolare nella prima espansione; poi lineare lungo la fascia costiera e lungo le linee principali di comunicazione che entrano nei sistemi vallivi, dove troviamo l’alta dispersione su colline e pianura. Le zone consolidate sono congestionate mentre i quartieri sono carenti di standard minimi; i carichi urbanistici sono squilibrati creando inquietudine e disordine. Il sistema della mobilità è sottodimensionato, carente ed insufficiente per gli spostamenti quotidiani sfavorito dall’assenza di corretta pianificazione urbanistica e quindi per il cattivo rapporto fra spazio pubblico e privato, determinato dalle scelte speculative del passato che hanno fabbricato agglomerati urbani spontanei e disomogenei, preferendo piani edilizi per la massima utilizzazione territoriale. Nella letteratura tali fenomeni speculativi – disordine spaziale e istituzionale – sono associati anche al carattere criminogeno del ceto dirigente (D. De Leo, Mafie&Urbanistica, FrancoAngeli, 2015), che ha la forza di influenzare e determinare le scelte politiche dei piani, agendo come «soggetto politico e referente culturale, in grado di organizzare un proprio modo di produzione», al netto delle costruzioni abusive, e quindi di aver contribuito all’attuale degrado delle ex periferie salernitane, oggi quartieri consolidati. Il paradigma culturale dominante neoliberale offre al potere criminale maggiore libertà d’azione, poiché agisce con il sostegno istituzionale, inconsapevole o consapevole, ed è più subdolo poiché può celarsi facilmente dietro il sistema off-shore ma sfruttando la finanza.

La misura precisa di come fu costruita la città venne accertata nel 1974 da progettisti incaricati dal Comune, e divenne nota a tutti quando consegnarono lo “Studio preliminare” che misurò la carenza di servizi minimi nella “Relazione dell’elaborato intermedio” del 1979. Lo studio misurò lo standard esistente di Salerno in 1,37 mq/ab (la vecchia legge regionale del 1977 prescriveva 30 mq/ab), e una densità di 987 ab/ha in zone del centro (piano Calza-Bini, 1936) quando la manualistica prescrive 300 ab/ha; pertanto i progettisti salernitani suggerirono il riequilibrio dei servizi sia per l’area occidentale (centro) che per quella orientale (periferia). Lo studio suggeriva di riflettere se fosse corretto espandere o meno la città, ma prima di tutto decongestionare la città stessa ed «abbassare gli indici di fabbricabilità delle zone non ancora edificate» per avere un rapporto migliore fra abitanti insediati e attrezzature di servizio.

Nonostante il paesaggio urbano compromesso, sarebbe saggio introdurre la scienza dell’urbanistica e quindi ripensare la morfologia urbana; avviare percorsi di autocoscienza dei luoghi, e poi osservare la carenza dello spazio pubblico, un po’ ovunque. Si pensi al fatto che oggi esiste una città estesa, costituita da 11 comuni, mentre il comune centroide, Salerno, ha un centro storico organico intricato e compatto a grana grossa, da recuperare. Si osservi la parte moderna di prima espansione – via dei Principati, zona Carmine, via P. De Granita, via Nizza, via Dalmazia – che costituisce una forma compatta con tessuto reticolare; mentre nella zona orientale consolidata di seconda espansione – Torrione, Pastena, Mercatello – troviamo le forme aperte prive di una maglia urbana regolare, creando disordine e il fenomeno della disomogeneità dell’agglomerato urbano (colonie residenziali). Focalizzando l’attenzione su centro storico e prima espansione moderna con gli occhi della normativa urbanistica (DM 1444/68) osserviamo che mancano gli standard entro un raggio di influenza (area gioco bimbi, sport, verde pubblico) così come mancano i servizi culturali (biblioteche di quartiere, centri culturali). L’assenza di un corretto disegno urbano e la disomogeneità degli agglomerati, è osservabile anche nelle aree periurbane: la dispersione del Carmine Alto, Sala Abbagnano, Matierno, e nel rururbano di Giovi e Ogliara. Con la chiave di lettura della corretta composizione urbana ci rendiamo conto dei danni causati da espansioni speculative.

Passeggiando per la città sono visibili aree in declino ove si registrano fenomeni di abbandono, svuotamento o degrado. Altre aree sono in trasformazione nelle quali sono previsti interventi edilizi, e altre sono in sviluppo ove previste nuove espansioni. Oltre a questi fenomeni tipici delle città, esiste una complessità determinata dall’assenza di pianificazione: l’inurbamento senza regole ha unito aree con destinazioni d’uso diverse e incompatibili (aree produttive e residenziali), e queste aree sono in conflitto ambientale e sociale determinando un peggioramento delle qualità della vita con ricadute economiche negative. Questi conflitti sono evidenti in tutta la valle dell’Irno e nella saldatura fra Salerno e Pontecagnano Faiano.

Con la pianificazione è possibile avviare sani processi rigenerativi proponendo soluzioni tutelando la sicurezza, l’ambiente e suggerendo nuovi scenari di urbanità favorendo lo sviluppo umano e riducendo gli intollerabili divari territoriali fra Nord e Sud.

Dal punto di vista della sicurezza è corretto censire il patrimonio edilizio esistente per misurare il ciclo vita degli edifici, la conformità urbanistico-edilizia, e programmare la sostituzione degli stessi considerati a rischio sismico ed idrogeologico. L’analisi urbanistica ci consente di valutare la morfologia esistente e proporre cambiamenti per migliorare zone consolidate compromesse dai processi speculativi favorendo lo sviluppo umano e la tutela ambientale; ad esempio a Salerno esistono evidenti danni ambientali dettati da scelte sbagliate: il porto commerciale all’inizio della costiera amalfitana privando gli abitanti della storica spiaggia; edifici moderni costruiti dentro il centro storico; taluni edifici costruiti sul demanio a Pastena; le colline cementificate (Carmine Alto e Sala Abbagnano) ed il tracciato della tangenziale realizzato sul fiume Irno. Rimuovere gli impatti ambientali di queste scelte scellerate significa restituire valore, bellezza all’intera area salernitana e produrre lavoro utile con evidenti ricadute positive sull’intera comunità.

Censendo le aree abbandonate, sottoutilizzate ma già urbanizzate, sarà possibile progettare nuovi scenari urbani utili per i trasferimenti di volumi, indispensabili nei processi di rigenerazione urbana.

La forma urbana della città estesa salernitana è chiara, si tratta di una città lineare (organica, intricata e compatta, poi reticolare nel comune centroide, e di forma lineare lungo le conurbazioni vallive e costiere, e con alta dispersione sui pendii e sui crinali delle colline) e questa dovrebbe diventare una “città giardino lineare” rinaturalizzando le proprie risorse: fiumi e fascia costiera. Nel risolvere i conflitti ambientali e sociali determinati dal disordine urbano sarebbe corretto intervenire nei cosiddetti “spazi di mezzo” fra il fiume Irno e le agglomerazioni esistenti proponendo carichi urbanistici medi e tipologie edilizie adeguate, che abbiano il carattere del genius loci (studi morfo-tipologici) o rispondente alla tradizione europea. Si tratta di un percorso di ricostruzione della città estesa, e la morfologia assume un ruolo prioritario per progettare lo spazio pubblico (“spazi di mezzo”). In letteratura lo “spazio di mezzo” è quello privato/pubblico fra gli edifici, ma nel caso salernitano si tratta anche dello spazio verde fra le sponde del fiume ed impropriamente anche quello della fascia costiera.

fonte immagine: Relazione generale PUMS Salerno, 2021.

Addio gas

Da molti anni le tecnologie del risparmio energetico hanno raggiunto adeguati livelli di efficienza mentre i prezzi sono diventati sempre più accessibili a tutti. A partire dagli anni ’80 le tecnologie solari sono state in grado di offrire un adeguato risparmio energetico, prime fra tutte nella produzione di acqua calda sanitaria, e poi per la produzione di energia elettrica con i sistemi fotovoltaici, eolici, geotermici. Dopo circa quarantacinque anni di investimenti in ricerca e sviluppo, l’industria presenta sul mercato soluzioni mature ed adeguate. Dal punto di vista della progettazione il risparmio energetico si ottiene intervenendo sull’involucro degli ambienti costruiti per eliminare dispersioni e ponti termici, e poi impiegare le tecnologie alternative a quelle degli idrocarburi, ed oggi abitazioni, uffici e strutture sportive possono godere di questi vantaggi economici arrivando a ridurre drasticamente i costi delle bollette energetiche ed abbandonare il gas per produrre acqua calda sanitaria e cucinare. Oggi il gas è inutile, perché la tecnologia delle pompe di calore è affidabile nel gestire la climatizzazione interna e produrre acqua calda sanitaria, mentre l’impiego di un mix fra solare ed eolico consente di stoccare energia elettrica per cucinare ed alimentare gli elettrodomestici. Questa soluzione è fattibile per singole unità immobiliari, per i condominii, per gli uffici e per gli impianti sportivi.

Gli errori culturali del famigerato 110%: con un provvedimento finanziario sbagliato, il legislatore ha favorito incentivi per un’industria finanziaria fuori controllo come le banche che si sono ricapitalizzate scaricando i costi sullo Stato (deficit), e poi sono stati favoriti interventi tecnologici culturalmente sbagliati poiché il modo migliore per isolare gli edifici è intervenire sullo sfasamento delle pareti perimetrali esterne; in sostanza non è l’impiego del “cappotto” termico la tecnologia migliore per ridurre la domanda di energia ma aumentare la massa, la densità e l’inerzia termica degli elementi: cioè la massa muraria. Non è un errore aggiungere un cappotto esterno ma il legislatore ha favorito una tecnologia impiegata per i climi nordici e più freddi mentre si manifestano gli effetti del cambiamento climatico che fa crescere le temperature medie. Il legislatore ha trascurato la realtà geografica dell’Italia inserita al centro del mediterraneo, e dove, da sempre, gli edifici sono stati costruiti con una massa muraria importante per avere un adeguato sfasamento: freschi d’estate e caldi d’inverno. Nel clima mediterraneo, uno degli inconvenienti dell’isolare con il “sistema a cappotto” è l’aumento delle muffe interne e per prevenirle è necessario climatizzare (aumento della domanda di energia), insomma si realizza una contraddizione. Pareti perimetrali esterne con una massa una corretta massa (solitamente laterizio), e quindi un corretto sfasamento, non necessità di impianti di climatizzazione (ricambio d’aria) per evitare condense e muffe interne.

Dal secondo dopo guerra in poi, si assiste ad un peggioramento progressivo delle tecniche edilizie per soddisfare criteri economici ed ingegneristici: palazzine multipiano con strutture intelaiate in c.a. e tamponature sottili (max 30 cm) con materiali a bassa densità, la combinazione di tali tecniche ha realizzato un enorme patrimonio edilizio di mera di merce scadente sotto tutti i punti di vista. Un’inversione di tendenza si ha solo negli ultimi 15-20 vent’anni con l’impiego di tamponature massive per imitare il comfort termico delle case di pietra.

Per eliminare il gas, riducendo i propri costi, è necessaria la sola volontà di famiglie, gestori di impianti pubblici e dei Sindaci poiché fra tecnologie ed agevolazioni fiscali si possono trovare le soluzioni ai problemi energetici.

In ambito urbano sarà fondamentale progettare e diffondere le tecnologie solari e mini eolico, collegate in isole energetiche (edifici, isolati, quartieri…) con adeguati locali di stoccaggio per l’energia elettrica accumulata, e poi rilasciarla quando serve (la famosa “rete furba”, “smart grid”).

Un Paese incivile e ingiusto

Le disuguaglianze, molto probabilmente, sono la causa principale dell’infelicità di milioni di italiani che vivono nelle zone marginali, cioè quei Sistemi Locali deboli poiché privi di servizi e con alto tasso di disoccupazione, e si trovano, notoriamente, più al Sud ma anche al centro d’Italia, mentre crescono le disuguaglianze anche nelle aree urbane padane più grandi. L’immorale e incostituzionale divario territoriale fra Nord e Sud è creato dalle stesse maggioranze politiche nel corso dei decenni, com’è stato svelato da inchieste giornalistiche RAI, e poi con la ricostruzione dei dati forniti dagli uffici di bilancio e dall’Istat, e la verifica dalle politiche di tutti i Governi; tutto ciò dopo decenni di insabbiamenti e omissioni, e dopo il contributo di una nuova letteratura, più documentata, circa la questione meridionale. L’obiettivo raggiunto, era ed, è quello di concentrare risorse pubbliche in un’area privilegiata ma a danno delle altre.

fonte immagine Itinerari Previdenziali, 2022

La fotografia italiana è scattata ogni anno dall’ISTAT mentre altri istituti aggregano dati ed elaborano le informazioni per restituire altre analisi importanti: ad esempio, su chi paga veramente le tasse. Non solo l’evasione fiscale è stimata intorno ai 100 miliardi (fonte: dataroomgabanelli, 2022), poi scesa ad 86,9 miliardi grazie alla fatturazione elettronica (MEF, Relazione sull’economica non osservata e sull’evasione fiscale e contributiva, 2023), ma resta una cifra enorme e intollerabile, mentre milioni di italiani salariati contribuiscono a tenere in vita lo Stato (welfare e sanità): circa 20,9 milioni, di cui 12,5 milioni di contribuenti paga ben il 53,7% del versato dagli italiani (fonte: Itinerari Previdenziali, 2022); cosa significa? Non sono i ricchi, prima di tutto, a tenere in vita il Paese ma i salariati. Oltre ai dati su chi paga le tasse bisogna aggiungere quelli di Banca d’Italia sulla ricchezza, che mostrano una tendenza nel tempo verso la concentrazione di poche famiglie dimostrando l’aumento del divario fra ricchi e ceti medi, e l’aumento delle disuguaglianze economiche. L’Italia è un Paese con un numero intollerabile di poveri (o sfruttati) ma la realtà comprende anche l’economia sommersa (lavoro nero), pertanto se da un lato i poveri sono aumentati, appare altrettanto chiaro che sono cresciuti i criminali che evadono le tasse. Sui temi fiscali, il problema principale non è l’alta pressione fiscale, ma il fatto che sono troppi i criminali che evadono il fisco scaricando i costi dello Stato su quei pochi che pagano. Questa è l’ingiustizia più intollerabile che grava sulle spalle delle persone oneste e dei lavoratori dipendenti, mentre sono troppe le imprese che sfruttano la schiavitù. Il lavoro nero (l’economia sommersa) contribuisce a far evadere ben 12,6 miliardi, e questa somma se fosse recuperata potrebbe contribuire a realizzare un servizio sanitario migliore e più equo, oltreché contribuire a dare un salario sicuro a decine di migliaia di italiani rendendoli più sereni. Una classe dirigente civile e responsabile ponendosi la priorità assoluta di combattere l’evasione fiscale catturerebbe le somme dovute a costruire i servizi mancanti al Sud: rigenerazione urbana, bonifiche, ferrovie, sanità e scuole.

Per contrastare l’inciviltà qualunque classe dirigente sa bene che la volontà politica è alla base delle azioni dello Stato, pertanto è facile desumere che se in Italia insistono disuguaglianze così intollerabili, la principale responsabilità è degli stessi italiani che non sanno scegliersi un ceto politico adeguato. L’apatia politica degli italiani è la forza incivile che contribuisce a sostenere direttamente e indirettamente le disuguaglianze crescenti e incancrenite al Sud, costringendo intere generazioni ad emigrare, espulse dalle incivili classi dirigenti locali poiché avide ed autoreferenziali.

Nei Paesi normali il contrasto all’inciviltà si realizza con politiche pubbliche attive, cioè creando nuova occupazione utile nelle aree marginali e quindi sottraendo risorse ai criminali per favorire salari dignitosi e consentire alle persone di essere libere e vivere con maggiore tranquillità, ed è ciò che la Costituzione italiana chiede di realizzare.

Agenda urbana nazionale

Con un pò di ritardo anche l’Italia ha una propria Agenda Urbana, già in passato avevo osservato la necessità di avere un documento strategico ma più maturo rispetto alle iniziative europee. Il Ministero delle infrastrutture e delle mobilità sostenibili (MIMS) ha approvato una propria Agenda Urbana nazionale per lo sviluppo sostenibile gestita dal CIPU (Comitato Interministeriale per le Politiche Urbane) collegata agli obiettivi del PNRR (stanziamenti 2022-2036) e del Piano nazionale complementare (Pnc), ed al conseguimento degli obiettivi dettati dall’Agenda 2030 dell’ONU.

Il documento definisce una metodologia e proposte di policy divise per settori, ed è di ordine programmatico ed indicativo per guidare la spesa del PNRR e del Pnc. Il documento di ordine strategico appare culturalmente maturo ma, a mio avviso corre il rischio di essere velleitario sotto il profilo operativo, poiché l’Italia è costituita da un eccessivo e dannoso numero di Comuni che non rappresentano la realtà della struttura urbana italiana, caratterizzata da città estese (“città di città”, “aree urbane estese”) dentro i propri Sistemi Locali del Lavoro. Il documento dell’Agenda Urbana riconosce i Sistemi Locali e lascia intendere che sarebbe più saggio e corretto elaborare piani e progetti secondo le strutture urbane estese. Dal punto di vista culturale, in Italia manca una classe politica capace di produrre politiche urbane e rurali rispondenti alle mutate esigenze dei territori e degli abitanti, ed al cambiamento della struttura urbana e rurale italiana; manca ancora la pianificazione e l’Agenda è un elenco di programmi di spesa senza la corretta pianificazione, e ciò è un enorme danno economico, sociale ed ambientale. La classe politica italiana decide la spesa senza tener conto della pianificazione urbanistica e territoriale, e soprattutto senza tener conto degli indirizzi del sapere tecnico professionale. I Comuni potrebbero elaborare piani intercomunali per organizzare meglio il proprio territorio. Da circa trent’anni, gli abitanti vivono ed usano un territorio formato da aree urbane estese rendendo obsolete sia le rappresentanze politiche amministrative e sia i singoli piani regolatori comunali; e tale realtà urbana è osservabile in quasi tutte le Regioni italiane dove è leggibile la saldatura fisica fra i comuni centroidi con quelli limitrofi.

L’incongruenza politica amministrativa non finisce qui, poiché com’è noto il governo del territorio è materia concorrente con le Regioni, e quindi l’Agenda Urbana nazionale assume un valore politico indicativo e non vincolante poiché i Ministeri non approvano i piani territoriali ed i piani regolatori generali ma lo fanno le Regioni autonomamente, che in attuazione del Titolo V della Costituzione hanno contribuito ad aumentare le disuguaglianze territoriali avendo per legge quantità di standard differenti, leggi urbanistiche differenti ed approcci culturali differenti. Se l’Italia non si imporrà una sincera riforma urbanistica toccando il regime giuridico dei suoli e non si farà un’adeguata armonizzazione delle leggi circa il governo del territorio imparando dalle migliori esperienze europee, allora non si raggiungeranno gli obiettivi dell’Agenda Urbana nazionale.

L’Agenza Urbana nazionale è un insieme di raccomandazioni che gli Enti locali dovrebbero cogliere per elaborare progetti e concorrere all’utilizzo dei fondi programmati dal PNRR. Alcuni obiettivi riguardano la mobilità (Piano Nazionale di sicurezza stradale, 2030), le politiche abitative (Piano città, assetto urbanistico e rigenerazione urbana) e le tecnologie per contrastare i cambiamenti climatici, il disagio sociale, le disuguaglianze ed il degrado urbano, promuovendo gli obiettivi chiamati di sviluppo sostenibile e già elencati nella precedente Agenda ONU 2030.

All’interno di queste iniziative politiche, gli Enti locali e soprattutto il ceto dirigente locale dovrebbe avere coscienza e consapevolezza dei problemi urbani e rurali per sviluppare progettazioni specifiche rispetto alle proprie strutture urbane. L’Italia è un territorio geografico, fisico, e sociale diverso e specifico rispetto al resto d’Europa, basti pensare al rischio sismico che in buona parte della mitteleuropa Europa non è presente, inoltre l’ingente e significativo patrimonio storico-artistico architettonico e testimoniale che forse non ha eguali nel resto del mondo; poi ancora il bene immateriale della dieta mediterranea. La creatività degli italiani dovrà immaginare e costruire soluzioni specifiche per le aree urbane e rurali con obiettivi singolari non presenti nell’Agenda Urbana nazionale. Il problema politico culturale sta nel fatto che le pubbliche istituzioni non sono ancora mature e pronte per finanziare studi, analisi e progetti adeguati alle specificità ambientali italiane (le famose aree urbane estese), e ridurre le intollerabili disuguaglianze territoriali ancora persistenti in Italia. L’auspicio è che termini questa inerzia culturale soprattutto nel Sud d’Italia, dove la necessità di investimenti pubblici e privati è vitale e prioritaria per contrastare la nuova emigrazione verso Sistemi Locali del Lavoro più attrattivi, e lo spopolamento delle zone rurali, già abbandonate e in degrado fisico.

Osservazioni sulle norme circa il governo del territorio campano

La recente legge regionale della Campania L.R. 13/2022 disciplina gli interventi edilizi e gli interventi di rigenerazione urbana, e nel farlo modifica articoli significativi (art. 23 PUC, art. 26 PUA ed art. 31 Standard urbanistici) della L.R. 16/2004 (Norme sul governo del territorio) cambiando in maniera profonda gli interventi di trasformazione urbanistica. L’intenzione sarebbe quella di favorire interventi di rigenerazione urbana attraverso norme di deregolamentazione dell’attività edilizia (art. 2 L.R. 13/2022); e introducendo criteri e parametri di edificabilità con incentivi (premi volumetrici) che a discrezione dei Comuni si potrebbero autorizzare derogando (art. 3 L.R. 13/2022) dai limiti inderogabili di densità, altezze e distanze previsti negli art. 7, 8 e 9 del DM 1444/68, nonostante quest’ultimi siano notoriamente inderogabili, per l’appunto!

lett. c) comma 9 octies art.3 L.R. 13/2022 Campania.

La Regione Campania vorrebbe recuperare un ritardo legislativo ma senza elaborare una revisione normativa volta a cogliere ed armonizzare le migliori esperienze urbanistiche europee, e così introduce regole già in uso altrove ma con modalità attuative controverse, rischiose e contra legem (DM 1444/68) perché alcune deroghe scritte non sono possibili considerando il fatto che le stesse sono inderogabili, e che tali limiti sono dettati da una legge quadro nazionale. Il comma 9 octies della L.R. 13/2022, da un lato, per favorire la delocalizzazione di edifici (cioè trasferimenti di volumi) esistenti in aree ad alto rischio da frana ed alluvione scrive che bisogna rispettare i limiti inderogabili del DM 1444/68 ma sfruttando un incremento volumetrico dell’indice fondiario fino ad un massimo del 50%, e dall’altro lato la lettera c) dello stesso c. 9 octies modifica l’art. 31 della L.16/2004 consentendo ai Comuni di derogare ai limiti inderogabili degli art.7, 8 e 9 dello stesso DM 1444/68. Il paradosso è che da un lato si usa correttamente l’incentivo, e dall’altro si desidera derogare ad una legge quadro ben scritta sfruttando il medesimo incentivo, cioè l’aumento della volumetria esistente. La L.R. 13/2022 prevede un incentivo dell’aumento di volumetria per un massimo del 20% su interventi di ristrutturazione, ed un max del 35% per gli interventi di demolizione e ricostruzione. Non è negativo l’incentivo in sé, già utilizzato in tutto l’Occidente, ma diventa pericoloso quando si realizza in zone consolidate congestionate, la norma prevede che (c.5 e c.6 dell’art. 4 L.R. 13/2022) i Comuni individuano le aree e gli edifici dove non sono consentiti gli interventi con incentivi volumetrici, sarebbe stato più facile e più logico fare il contrario: perimetrare le aree ove prevedere gli incentivi. Pensando alla complessità urbana presente in Campania, la parte più pertinente della legge 13/2022 riguarda le modalità di demolizione e ricostruzione di edifici da rilocalizzare, descritte nei commi 13, e 14 dell’art. 4 poiché gli interventi sono vincolati a quote non inferiori al 20% di edilizia residenziale sociale.

La contraddizione più profonda è quella culturale perché per legge si associano concetti come la qualità e l’incentivo credendo che siano correlati ma è un’espressione fantasiosa e surreale, e si ha la velleità di ottenere la sostenibilità e la qualità urbanistica per legge, e si crede che si possa fare derogando da quelle tecniche compositive che caratterizzano la disciplina urbanistica italiana, nel caso in cui le Amministrazioni vorrebbero operare trasformazioni urbanistiche dentro le zone consolidate. Ricordiamoci che il governo del territorio è competenza regionale ma le leggi regionali devono rispettare le leggi quadro nazionali, pena la loro illegittimità. Le regole degli art. 7, 8 e 9 del DM 1444/68, che la Regione ha deciso di derogare, costituiscono i famosi limiti inderogabili che hanno consentito all’Italia non solo di limitare e/o impedire interventi speculativi dentro le zone consolidate ma di insegnare a decine di migliaia di architetti ed amministratori come fare bene i piani urbanistici normando criteri che riguardano le densità edilizie, le altezze e le distanze. Le densità imposte dalla legge hanno l’obiettivo di tutelare le zone già costruite e questi limiti applicati da taluni Comuni consentono agli abitanti di vivere in aree consolidate con quartieri attrezzati, mentre dove questi limiti non furono rispettati, soprattutto in Campania, la storia ci informa del fatto che si realizzarono disuguaglianze territoriali negando diritti a numerosi abitanti costringendoli a vivere in agglomerati congestionati ed aree urbane caotiche, disordinate e fuori legge, cioè la negazione della città. Gli insediamenti urbani andrebbero progettati attraverso regole e forme che realizzano determinate densità finalizzate a conservare armonia, decoro e proporzionalità. La stessa letteratura urbanistica considera alti i limiti di densità del DM 1444/68, perché l’esperienza che sta alla base di un’idea compositiva ritiene che per realizzare quartieri ben proporzionati si dovrebbero avere densità edilizie ancora più basse (cioè medie, 300 ab/ha), mentre una parte della letteratura ritiene di fare l’opposto. La qualità, in sostanza, non si può introdurre per legge perché è figlia di un piano e/o di un progetto urbano, cioè appartiene alla cultura del tecnico incaricato.

Il famigerato sprawl urbano realizzato anche in Campania non è l’unico problema delle persone che vivono nelle aree urbane, anzi, forse è il problema meno rilevante. La forma urbana delle città campane è compromessa da una diffusa carenza culturale circa la disciplina urbanistica, ma una forza rilevante è determinata dalla corruzione morale e materiale e dall’avidità degli speculatori che hanno costruito insediamenti disomogenei, affollati, carenti di soleggiamento, privi di servizi e carenti di standard. Il connubio fra potere criminale e ceto politico ha costruito interi quartieri di merce edilizia degradata, e questi dovranno essere demoliti per ripristinare legalità e disciplina urbanistica. In Campania le aree urbane sono fin troppo compatte da essere congestionate, e poi allo stesso tempo sono disperse e disorganizzate. Una priorità delle città campane è favorire processi di trasferimenti di volumi per decongestionare e non per stimolare il peggioramento delle congestioni esistenti con l’aumento dei carichi urbanistici nelle zone consolidate perché si desidera aumentarne le quantità con i premi volumetrici (maggiori profitti privati). Questi incentivi non sono sbagliati in sé ma sono pericolosi se si realizzano in zone congestionate.

Il legislatore campano nell’affanno per recuperare il tempo perduto trascura vecchi e noti problemi di legalità all’interno della pubblica amministrazione; mentre la complessità urbana e rurale della Campania restano sullo sfondo. La realtà amministrativa degli Enti locali appare drammatica poiché non si riconosce l’assetto del paesaggio urbano e territoriale, e spesso si trascurano i principi costituzionali e gli scopi dell’urbanistica, così come l’incapacità di leggere e interpretare i concetti di densità ed intensità urbana. La legislazione urbanistica campana introduce incentivi già noti in letteratura ma confrontata con le norme della Regione Toscana resta culturalmente disorganica ed arretrata, sia sotto il profilo giuridico costituzionale (si pensi alle disuguaglianze crescenti, all’assenza di welfare urbano ed alla carenza di standard) e sia sotto il profilo tecnico-procedurale, e si ha le netta sensazione che tutto ciò sia voluto per non disturbare speculatori, clientele locali e rendite parassitarie consolidate. La pratica amministrativa campana è viziata da un teologia incivile ultra-liberista ove il potere economico decide come usurpare le risorse collettive con il sostegno politico dei Consigli comunali, e questo ceto dirigente compie scelte politiche contraddicendo la Costituzione, la disciplina urbanistica e gli indirizzi culturali anche dell’INU, che chiede di recuperare i plusvalori delle rendite per indirizzarli alla costruzione della “città pubblica” (c. 4 art. 3, proposta di legge “Principi fondamentali del Governo del territorio”). Il legislatore campano trascura la realtà delle aree urbane estese, l’obsolescenza dei confini amministrativi ed i fenomeni di contrazione, concentrazione e dispersione delle attività e delle funzioni che determinano i flussi di persone e merci, e si conferma il fatto che non si vuole normare correttamente la disciplina urbanistica e non si vuole adottare lapproccio culturale bioeconomico per aggiustare le aree urbane e ridurre i divari territoriali. Si può intuire che la priorità del ceto dirigente campano è copiare norme e meccanismi econometrici per scommettere sulla nascita di nuove rendite parassitarie restando sul piano teologico sbagliato ed obsoleto: il famigerato “libero mercato”, che non esiste. La norma si concentra sul ritorno economico degli investitori privati. Si affermano concetti surreali come il presunto miglioramento della qualità urbanistica attraverso l’incentivo per giustificare e favorire possibili interventi speculativi grazie al consenso politico dei Consiglieri regionali avendo approvato anche il comma 9 quarter dell’articolo 3. Le recenti esperienze europee dimostrano che un miglioramento si può ottenere solo introducendo nuovi modelli di gestione urbana (recupero diretto del plusvalore fondiario) e controllando il progetto e la morfologia urbana, e non attraverso un vacuo concetto di “forme della contemporaneità, coniugando l’eredità della storia dei luoghi con la cultura”, affermando una comunicazione propagandistica ideologizzata e scritta in una legge regionale, tutto ciò non ha senso.

In Occidente si consiglia di limitare il consumo di suolo attraverso processi di densificazione perché le città europee non sono state costruite da cattivi amministratori politici e dai processi speculativi, ma adottando la corretta composizione urbanistica e sfruttando un corretto regime giuridico dei suoli (esproprio generalizzato e concessione del diritto di superficie). Le amministrazioni europee acconsentono interventi di densificazione in quelle aree e zone dove le densità sono basse conducendo i carichi urbanistici a livelli medi, ed in generale questa tecnica è abbinata ad una strategia molto nota: Transit Oriented Development (TOD). All’estero non esiste l’abusivismo edilizio e le rendite differenziali sono tassate correttamente perché gli amministratori rispettano la professione dell’urbanista che sceglie un corretto disegno di suolo ed adotta la composizione della famosa cellula urbana, quindi con standard e servizi raggiungibili a piedi, e poi un efficace sistema di trasporto pubblico per raggiungere servizi di rango cittadino o extraurbano. Le zone consolidate delle città europee della mitteleuropa, generalmente, hanno corretti rapporti fra spazio pubblico e privato, strade, e verde di quartiere; ma in Campania tutto ciò o manca o è carente. Per essere chiari non è il premio volumetrico o la densificazione in sé che favorisce una corretta rigenerazione urbana ma un corretto quadro di conoscenza ed un’adeguata metodologia di analisi ed interpretazione che corregge la morfologia esistente e propone un adeguato disegno di suolo. La rigenerazione urbana è una scelta politica, è un processo culturale proprio del progettista e non una legge. Per favorire ed avviare sinceri processi di rigenerazione anche in Campania è necessaria un’assunzione di responsabilità da parte del ceto dirigente e l’adozione di piani urbanistici ben fatti secondo l’approccio culturale della scuola territorialista. Per legge bisognerebbe introdurre veri e sinceri processi partecipativi popolari poiché i piani hanno conseguenze dirette sugli abitanti.

La Campania ha persino un “difetto di sistema” perché preferisce la perequazione di comparto a quella diffusa (o “generalizzata”), rendendo vana la perequazione stessa e gli obiettivi costituzionali e giuridici dell’urbanistica che vuole costruire la città pubblica con le tasse ben calibrate circa gli investitori che ottengono profitti attraverso una scelta politica (non di merito), e pareggiando i diritti edificatori di chi costruisce limitando la discriminatorietà dei piani stessi ma applicando l’uso sociale dei suoli.

E’ la cultura del progettista che disegna un corretto piano urbanistico e che a sua volta progetta la qualità urbanistica ed architettonica degli insediamenti umani, e certamente non può farlo un pacchetto di leggi disorganiche e contraddittorie. Le leggi dovrebbero essere scritte meglio, nella forma e nella sostanza, dovrebbero essere più semplici e comprensibili per dettare le regole, ed in Italia ed in Campania mancano quelle giuste poiché l’urbanistica è umiliata dalla volgare contesa dei politicanti, ed al momento non esiste un partito politico che sia cosciente e consapevole dell’importanza vitale di un corretto governo del territorio per ridurre i rischi sismici ed idrogeologici, e le intollerabili e immorali disuguaglianze. In materia urbanistica c’è la necessità che il legislatore aggiorni la legge quadro nazionale L. 1150/42, ed armonizzi ed integri tutte le norme in materia edilizia ed urbanistica osservando il cambiamento radicale avvenuto in Italia circa l’armatura urbana e l’abbandono delle aree rurali ed interne. Il titolo V della Costituzione ha stimolato le disuguaglianze poiché l’Italia è di fatto federale con 20 leggi urbanistiche differenti, tant’è che esistono italiani che vivono in aree urbane con maggiori standard ed italiani che vivono in città con minori standard (o addirittura senza standard) com’è prescritto dalle proprie norme regionali. In Italia esistono individui che godono di opportunità poiché sono presenti servizi in città, ed altri individui che non possono usufruire delle medesime opportunità per mancanza di servizi. Il ceto dirigente italiano appare incapace di programmare e finanziare seri interventi per aggiustare gli errori della teologia capitalista che ha costruito merce edilizia e non città.

Dal punto di vista del governo del territorio, la Campania dovrebbe introdurre la corretta disciplina urbanistica soprattutto dal punto di vista gestionale ed amministrativo contrastando le famigerate rendite parassitarie. Le esperienze altrui (Barcellona e Monaco di Baviera) dimostrano che una corretta rigenerazione urbana è possibile grazie al ruolo di coordinamento pubblico, alla trasparenza e alle capacità di dirigenti e funzionari pubblici, con la seria intenzione di applicare i principi costituzionali, e introducendo criteri efficaci di recupero diretto dei plus valori fondiari ed immobiliari per indirizzarli alla socializzazione (perequazione diffusa per costruire la città pubblica). La centralità di queste corrette pratiche amministrative sta nel rapporto pubblico e privato, e nel progetto, cioè nel controllo della morfologia urbana che realizza la trasformazione degli insediamenti. Bisognerebbe fare l’opposto di quello fatto finora. La Regione dovrebbe introdurre l’obbligatorietà del fascicolo del fabbricato, copiare la Regione Toscana circa la realizzazione di un “data base” unico (GIS) di tutto il patrimonio costruito; copiare la Regione Lombardia che ha individuato tutti i volumi abbandonati e sottoutilizzati e li ha inseriti nel GIS; introdurre: la perequazione diffusa, il recupero diretto del plus valore fondiario e la tassa sulle rendite differenziali copiando la Baviera e la Catalogna; favorire l’unione dei Comuni finalizzata a preparare piani intercomunali, aggiornare il proprio piano paesaggistico secondo l’approccio territorialista, finanziare la metropolitana regionale per unire le persone imitando il modello Randstad Holland, e finanziare i servizi mancanti nelle aree urbane estese e rurali.

In taluni casi, copiare da chi è più bravo è la cosa più furba da fare: L.R. 65/2014 Toscana

G.U. 97, 1968, articoli del D.M. 1444/68.

Disuguaglianze, rischio sismico e idrogeologico

Leggendo i rapporti ISTAT è facile comprendere quali investimenti pubblici e privati sono necessari per tutelare la sicurezza delle persone (rischio sismico ed idrogeologico), governare meglio il territorio, ridurre le immorali e intollerabili disuguaglianze per consentire anche agli abitanti dell’area urbana salernitana di costruirsi liberamente percorsi di autodeterminazione, al pari di aree già privilegiate quali la pianura padana e la mitteleuropa.

Da troppi decenni l’assenza di una corretta programmazione degli investimenti e le disuguaglianze economiche, sociali e di riconoscimento fra Nord e Sud dell’Italia sottovalutano i rischi connessi alle aree urbane estese e limitano la libertà e la felicità delle persone che vivono in Italia e nel Mezzogiorno d’Italia. Un’incivile e indegna propaganda ha voluto far credere che la mancanza di opportunità economiche dipendesse soprattutto dai meridionali stessi. Il “calcolo diseguale” come titolo di un’inchiesta giornalistica della RAI ha mostrato a tutti gli italiani il razzismo di Stato che toglie a chi ne ha più bisogno per usurpare risorse a favore di chi è già ricco. Oltre all’incostituzionale e intollerabile “calcolo diseguale”, il danno è acuito dai ceti dirigenti locali che applicano le disuguaglianze di riconoscimento per limitare le capacità creative di talenti che potrebbero favorire lo sviluppo umano nelle aree marginali.

Le Amministrazioni locali salernitane dovrebbero iniziare a cooperare fra loro riconoscendo la caotica e disorganizzata struttura urbana estesa, imparare ad interpretarla riconoscendone l’identità, i propri valori, le proprie debolezze e le disuguaglianze interne, e poi adottare i valori della Costituzione italiana. Il ceto dirigente dovrebbe riconoscere il fatto che esistono rischi idrogeologici e sismici legati alla cattiva localizzazione ed al ciclo cita degli edifici, mentre i confini amministrativi dei comuni salernitani sono obsoleti, fuorvianti e persino dannosi poiché limitano la capacità di programmare, pianificare e progettare adeguatamente il proprio territorio, mentre altri Paesi hanno maturato capacità amministrative e di programmazione economica molto più efficaci, poiché dettate dalle indicazioni fornite dalla disciplina urbanistica e territoriale rispetto alle strutture urbane e rurali di area vasta. La mentalità politica italiana liberale/liberista ha fatto l’opposto, cioè ha volutamente sottovalutato la disciplina urbanistica per favorire gli interessi privati di una ristretta élite di “prenditori”, interessati ad arricchirsi facilmente senza lavorare, sfruttando le famigerate rendite parassitarie costruite da scelte politiche. Questa mentalità criminogena, nazionale e locale, ha favorito l’aumento delle immorali e intollerabili disuguaglianze, ed oggi studi ed analisi sono concordi sul fatto che per restituire dignità a vasti territori depredati come il Sud dell’Italia, bisogna investire in numerosi settori fondamentali per la civiltà e per la felicità delle persone, primo fra tutti: il capitale sociale, ed i servizi mancanti per consentire alle persone di crescere, ed alle famiglie di avere garanzie economiche per affrontare la vita, la cura delle persone svantaggiate e degli anziani. L’incivile sottovalutazione del rischio sismico ed idrogeologico ci informa del fatto che l’azione della natura produrrà danni evitabili attraverso una normale ed adeguata programmazione finalizzata alla prevenzione. Tutte queste carenze rientrano nelle funzioni politiche amministrative dedite alla programmazione, pianificazione e progettazione urbanistica e territoriale.

Gli investimenti devono tutelare la sicurezza riducendo i rischi (sismico ed idrogeologico) ed eliminare la disuguaglianza di riconoscimento che istiga i laureati ad emigrare dal Sud verso il Nord e verso l’estero; e costruire un efficace welfare urbano per consentire alle famiglie svantaggiate di seguire percorsi di crescita culturale finalizzati al lavoro, ed un sostegno economico per assistere anziani e persone svantaggiate. Nel sistema di welfare, che manca tutt’oggi, bisogna affiancare un percorso per i giovani finalizzato all’autoderminazione e consentire loro di tendere ad un’autosufficienza economica. Nei Sistemi Locali del Lavoro più efficienti istituzioni pubbliche come Università, centri di formazione professionale ed imprese private rappresentano i luoghi delle opportunità lavorative, e considerando il fatto che al Sud le risorse più giovani emigrano (ISTAT, Rapporto annuale, 2021) bisogna dedurre che tali istituzioni non lavorano per il territorio ma addirittura lo danneggiano. Enti locali e istituzioni di formazione devono ripensare il proprio ruolo e programmare piani di investimento per creare attività e funzioni utili al territorio osservando le proprie peculiarità ed i servizi mancanti.

Il sistema educativo è il motore dell’autoderminazione e della felicità per le persone, pertanto il ceto dirigente e le istituzioni politiche locali devono aggiustare un sistema che oggi non funziona come dovrebbe, e per farlo è possibile copiare i migliori modelli europei. L’Italia ed il Sud, confrontate con i paesi UE, spendono poco nei sistemi educativi. Le istituzioni devono programmare e pianificare la costruzione di nuovi edifici ed assumere adeguate competenze professionali sia per formare meglio i giovani che oggi hanno un deficit di competenze rispetto agli altri studenti europei, e sia per rieducare gli adulti che soffrono di ignoranza funzionale. L’istruzione è il fattore chiave delle scelte e dei comportamenti che gli individui assumono nel corso della propria vita, e permette di comprendere i meccanismi dei cambiamenti sociali. Il ceto dirigente dovrebbe fare ciò che avviene in qualunque società normalmente impegnata nel fare civiltà: bisogna associare competenze, forza lavoro ed imprese che svolgono attività compatibili con il territorio e le risorse. Il legislatore dovrebbe incoraggiare l’aumento dei salari ed eliminare le forme contrattuali che favoriscono lo sfruttamento delle persone. Altri investimenti sono necessari per costruire un sistema territoriale di welfare poiché l’andamento demografico italiano e della Campania ci informano del progressivo invecchiamento della popolazione. A causa della crisi economica e dell’assenza di lavoro le famiglie diventano meno numerose, sono più povere, ed hanno grandi difficoltà nell’affrontare la vita quotidiana. La vulnerabilità sociale e materiale, la carenza di competenze, l’aumento della povertà e la trasformazione della società suggeriscono di costruire efficaci servizi alla persona che oggi mancano nell’area urbana estesa salernitana. L’avvenuta trasformazione della società ha conseguenze dirette nella pianificazione urbanistica poiché interessa la progettazione e l’adeguamento degli alloggi, e la progettazione e localizzazione dei servizi.

La pianificazione urbanistica e territoriale è essenziale per rigenerare il territorio e la società che vive nell’area urbana estesa salernitana, ed il Mezzogiorno d’Italia è stato condotto ad un livello di sottosviluppo per colpa di una mentalità capitalista nazionale che ha fatto gli interessi della pianura padana, e per colpa di un ceto dirigente locale autoreferenziale, egoista e tal volta criminale. Le fotografie economiche e sociali nei rapporti ISTAT fanno riflettere, poiché descrivono il Sud d’Italia come un paese in via di sviluppo, ma bisogna riconoscere che stiamo parlando di un’area che ha una storia di millenni, e solo in pochi identificano il fatto che questo territorio ricco di risorse è stato depredato da una teologia che prevede di togliere a qualcuno per dare a qualcun altro. Persone ed istituzioni dovrebbero intraprendere un percorso culturale per approdare su un nuovo piano culturale, un nuovo paradigma che sa riconoscere l’identità dei luoghi e delle persone, ed è in grado di progettare correttamente un futuro sostenibile.