Messa in sicurezza

Morti e danni causati da eventi naturali sono come una manna dal cielo per gli editori (la TV del dolore), così i media (e social media) sfruttano gli eventi per aumentare l’attenzione dei consumatori ed alzare i margini generati dagli spazi venduti alla pubblicità. Grotteschi dibattiti televisivi sono costruiti in funzione delle emozioni per enfatizzare e drammatizzare gli eventi stimolando polemiche, frustrazioni e maggiore dolore nei confronti degli spettatori, considerati merce e consumatori passivi. Questo meccanismo cinico e perverso è insito ai media ed è voluto degli editori perché aumentano i profitti grazie al dolore delle persone. Lo schema potrebbe favorire una follia di massa, infatti è da pazzi credere che il circo mediatico possa suggerire soluzioni o far ragionare le persone; l’obiettivo degli editori è vendere, e le persone meno sono istruite e più è facile vendere loro ogni tipo di merce: compresa la disinformazione e la politica.

Sono trascorsi decenni da quando il sapere tecnico ha informato le istituzioni attraverso ricerche, analisi, studi, documenti e piani che evidenziano la fragilità sismo-idrogeologica dell’Italia, e le istituzioni politiche in maniera cinica e cialtronesca hanno sottovaluto questi rischi, ormai divulgati ed accessibili a tutti attraverso gli stessi siti internet degli istituti di ricerca, pubblici e privati.

Accademici e professionisti da molti anni denunciano la carenza di finanziamenti pubblici per attuare una corretta pianificazione territoriale ed urbanistica, e con questa denuncia è sottinteso che fino a quando il ceto politico dirigente non farà il suo dovere costituzionale finanziando la messa in sicurezza delle aree urbane e territoriali, gli abitanti saranno costretti a piangere morti e danni dovuti all’inerzia del potere che distrae risorse per soddisfare il tornaconto personale anziché applicare la Costituzione italiana.

In questo corto circuito gli elettori sono corresponsabili poiché non avendo come priorità politica la messa in sicurezza del territorio, e non scegliendo una classe dirigente responsabile e competente mandando ai vertici delle istituzioni politiche individui indegni, i danni sociali ed economici continueranno e peggioreranno. La politica è una cosa seria, ma la maggioranza degli italiani non ha compreso che bisogna affidarsi a persone responsabili, serie, competenti ed ovviamente non corrotte. Un miglioramento in tal senso è possibile attraverso una partecipazione politica attiva, creando un vero partito democratico con un’identità ecologista (bioeconomica) chiara e sincera, e costruito da cittadini attivi capaci e meritevoli.

Rigenerare Salerno

Il presente lavoro è una piccola parte, rielaborata e aggiornata, della mia tesi di laurea presentata al DIA di Parma. Si tratta di un estratto al tema principale “Rigenerazione a Salerno; la rigenerazione attraverso la bioeconomia” pensata e progettata con scenari dentro una zona consolidata della città Salerno molto compromessa dai processi speculativi.

Questo documento riveduto viene pubblicato per condividere un “singolare” punto di vista circa il governo del territorio, un “nuovo” approccio culturale per amministrare e pianificare la nuova città salernitana costituita da un’area urbana estesa ove quotidianamente gli abitanti si muovono, vivono, usano e consumo il territorio. L’intenzione è sollecitare un dibattito pubblico per realizzare un disegno urbanistico intercomunale capace di costruire un futuro sostenibile per tutta la comunità estesa. Non esiste più la città di Salerno entro i confini amministrativi, ormai obsoleti e persino dannosi, ma esiste da molti anni una “Salerno estesa”.

Rigenerare il territorio correttamente consente di affrontare vecchi problemi quali il disordine urbano esistente causato dall’ignoranza e dall’egoismo dei processi speculativi; consente di affrontare seriamente la riduzione del rischio sismico e idrogeologico, la valorizzazione del patrimonio esistente e la riduzione della disoccupazione e delle disuguaglianze territoriali, permettendo così a un’intera comunità di favorire l’uscita dalla marginalità economica e sociale e programmare un futuro sereno in armonia con la natura, utilizzando correttamente le risorse esistenti.

Il documento ricco di dati e interpretazioni, può stimolare l’interesse di tutti nell’avviare nuove attività utili al territorio suggerendo un salto culturale perché il territorio non è una merce ma un bene.

Regressione e miglioramento

In questi anni di grandi cambiamenti tecnologici continuano a crescere le disuguaglianze che diventano patologie sociali complesse. Nel campo della pianificazione le città europee dotate di una tradizione culturale socialista restano i poli attrattori degli investimenti pubblici e privati, mentre territori che hanno rinnegato, manipolato ed edulcorato la pianificazione diventano spazi controversi poiché in parte vi sono zone degradate con disagio sociale ed economico e in parte vi sono zone riservate ai ceti più agiati e privilegiati, basti pensare ai Sistemi Locali dei Paesi mediterranei e dell’Est europeo.

ISTAT, lo spopolamento del Sud con il calo demografico e l’emigrazione dei giovani, 2023.

Nell’UE liberista alcune comunità continuano a compiere scelte socialiste per tutelare i propri abitanti, e ciò avviene con regolarità nella mitteleuropa e nei Paesi scandinavi, mentre la maggior parte del ceto dirigente occidentale preferisce azioni liberiste che producono danni soprattutto nel Sud d’Europa, dove un capitale sociale carente insegue velleità di mercato utili alle imprese private ed alla ristretta élite locale ma dannose per i diritti degli abitanti economicamente deboli. Una classe dirigente scadente lascia insoluti i problemi fotografati nei drammatici dati economici e sociali (basta leggere i report dell’ISTAT), con alti tassi disoccupazione e aumento degli inattivi e della schiavitù (lo sfruttamento salariale è schiavitù legalizzata), e tutto ciò ha risvolti sociali molto negativi poiché la schiavitù risponde ai capricci del mercato come preconizzò Marx, e la società torna ad essere feudale, basata su relazioni di vassallaggio; le persone diventano merce.

Per invertire la regressione sociale, che dura da circa trent’anni, è determinante far crescere il capitale sociale e questo dovrebbe riscattarsi con coraggio abbandonando la teologia capitalista per sperimentare nuovi approcci culturali, ad esempio la cultura bioeconomica con la tradizione europea della corretta pianificazione urbanistica per rigenerare territori e aree urbane estese. Un’adeguata analisi delle strutture urbane e rurali può favorire nuovi investimenti pubblici e privati per creare valore innanzitutto, oltreché ricchezza. Il concetto di valore è diverso da quello di ricchezza materiale, come insegnò egregiamente Marx distinguendo il valore d’uso (bene) dal valore di scambio (merce). Nella nostra Italia il ceto politico locale, spesso indegno, è ancora stupidamente psico-programmato dalla immorale e viziosa religione che mercifica le città, regalando ai proprietari privati enormi ricchezze create per mera scelta politica (senza merito) attraverso dannosi piani edilizi (rendita immobiliare pura), perseguendo pratiche liberiste che risalgono all’Ottocento e inizio Novecento. Pratiche vietate in Germania, Olanda e paesi scandinavi che hanno saputo contrastare il fenomeno della speculazione edilizia attraverso espropri, uso del diritto di superficie e tassazione progressiva delle rendite differenziali con il recupero diretto dei plusvalori.

Ad esempio, molte città nord europee stanno programmando strategie per contrastare il cambiamento climatico aumentando la dotazione di verde pubblico e privato dentro i quartieri esistenti, e costruendo infrastrutture per la mobilità intelligente: integrazione fra biciclette e mezzi di trasporto pubblico, e nuovi servizi concentrati presso le stazioni metropolitane per scoraggiare l’uso dell’auto privata (strategia TOD). Queste Amministrazioni straniere si occupano soprattutto di miglioramenti tecnologici poiché buona parte delle città eredita un’adeguata morfologia urbana, mentre le città italiane hanno dovuto subire un’espansione fisica moderna spesso disordinata e disomogenea, perché il legislatore italiano (negli anni ‘60) si rifiutò di contrastare le speculazioni edilizie, anzi le favorì. Tutt’oggi il legislatore italiano trascura i fenomeni di abusivismo edilizio e i fenomeni di disomogeneità degli insediamenti urbani, consentendo indirettamente l’edificazione di nuove speculazioni edilizie. In tal senso, in Italia è difficile realizzare la sostenibilità urbana perché questa è figlia della corretta pianificazione urbanistica, oggi carente o assente in numerose Amministrazione comunali, e in talune Regioni i fenomeni degenerativi (disordine urbano e rendite parassitarie) sono una prassi dell’azione politica; di fatto il ceto politico locale risulta essere inadeguato e incapace di svolgere il proprio ruolo, e addirittura compie scelte in contrastato con i principi costituzionali e con la disciplina urbanistica nazionale.

Il risultato di tutto ciò è un aumento significativo delle disuguaglianze territoriali, e queste sono di natura economica, come la famigerata questione meridionale determinata da una concentrazione di capitali in pianura padana ma sottratti al Sud, ma si aggiunge anche la disuguaglianza fra talune città del Nord Europa ben pianificate sin dall’inizio Novecento con quelle italiane, condannate dai processi speculativi; poi vi sono le disuguaglianze dentro le città stesse, con quartieri meglio attrezzati e periferie “dormitorio”. Infine le disuguaglianze territoriali fra aree urbane estese (le nuove città italiane) e quelle rurali in continuo abbandono per effetto dello stesso “capitalismo della conoscenza” (maggiore competitività) che concentra investimenti nelle città a danno di quelli agricoli.

La complessità italiana è ampiamente trascurata poiché la classe politica italiana non adotta la normale pianificazione degli investimenti pubblici e dei programmi europei, anzi evita di pianificare per deliberare programmi di spesa senza un piano. Il ceto politico della mitteleuropa pianifica, cioè ha un piano ed in base a quello spende, mentre quello italiano fa l’opposto occupandosi di fare banali programmi di spesa senza esser pianificati, senza un piano, senza un disegno nazionale, mentre la famigerata riforma del Titolo V della Costituzione sta recando danni al Paese ma soprattutto al Sud dell’Italia. Il nostro territorio è diverso dagli altri: abbiamo sia il rischio sismico che quello idrogeologico e le aree urbane estese caratterizzate da fenomeni di disomogeneità degli insediamenti e carenti di servizi (problemi meno presenti in altri Paesi). Dobbiamo contrastare i rischi innescati dai fenomeni naturali e contemporaneamente dobbiamo ricostruire interi pezzi di città per correggere una morfologia urbana sbagliata ed eliminare le speculazioni edilizie (e rendite parassitarie), e ciò può avvenire compiendo un salto culturale.

Un perverso meccanismo burocratico di ispirazione liberista, che rifiuta lo strumento del fondo perduto di ispirazione solidale, consente alle Amministrazioni locali europee di concentrare gli investimenti negli spazi più ricchi e nelle zone economiche speciali per realizzare una concorrenza sleale nei confronti degli altri Paesi. Altre Amministrazioni invece si ispirano alla tradizione socialista ed ecologista, e continuano a migliorarsi mentre la maggioranza dei Comuni italiani, in buona parte incapaci e mal gestiti, continuano a restare inerti recando danno ai propri abitanti che sono indotti ad emigrare. Teologia liberista e cattiva amministrazione stimolano le disuguaglianze territoriali che aumentano anziché esser ridotte o eliminate, mentre in talune città di tradizione socialista si conservano alti standard di qualità di vita che migliorano con le innovazioni tecnologiche.

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Imparare a investire

Il tema degli investimenti, a causa della recessione economica pandemica, sembra assumere un ruolo importante nel dibattito pubblico odierno ma appare altrettanto difficile ascoltare dal mainstream un discorso serio ed efficace. Nella vita quotidiana di ognuno di noi sembra ovvio che le scelte siano dettate da raziocinio per soddisfare bisogni reali, ma non è affatto evidente perché la maggioranza delle scelte che facciamo sono dettate dalle emozioni e condizionate dalla nostra cultura individuale (o dell’ignoranza), e questo processo cognitivo che implica incertezza è analogo in ambito istituzionale, oltreché condizionato da possibili condotte illecite di politici, dirigenti e funzionari. Nel campo della pianificazione e della progettazione tali errori sono quasi assenti, poiché le scelte sono dettate dall’analisi della realtà, ad esempio un efficace piano urbanistico si può realizzare solo attraverso analisi approfondite grazie ai dati scientifici, e lo stesso accade in edilizia su interventi di ripristino negli edifici esistenti per sostituire singoli elementi ammalorati e degradati. Questo approccio scientifico sembra mancare in talune istituzioni, soprattutto se osserviamo la realtà sociale ed economica del nostro Mezzogiorno e le immorali disuguaglianze fra Nord e Sud dell’Italia che iniziano circa 150 anni fà.

La sostanza del discorso è semplice e complessa allo stesso tempo; è semplice poiché un Paese normale e civile programma investimenti nei luoghi marginali per consentire a quegli abitanti di avere le stesse opportunità economiche e sociali degli altri territori, ed è complesso poiché un tale obiettivo si raggiunge nel tempo migliorando la capacità decisionale delle istituzioni e rimuovendo tutti gli ostacoli di ordine economico. Nel caso italiano esistono pubbliche amministrazioni capaci ed incapaci; quelle più impreparate sono caratterizzate da noti fenomeni feudali, clientelari e corruttivi poiché il ceto dirigente locale, applicando la teologia capitalista liberista, ha scelto di sfruttare lo Stato per il mero tornaconto personale ma recando danno alla collettività.

Nel resto dell’Occidente, un approccio culturale socialista, prima di tutto, e poi liberale riguarda i processi di rigenerazione urbana. Le pubbliche amministrazioni europee ereditano le analisi sociali marxsiste per aggiustare le città, e con il trascorrere dei decenni sviluppano  capacità di intervento nelle zone in declino con programmi e piani di trasformazione urbanistica per migliorare la morfologia urbana e creare nuove opportunità per gli abitanti. Questo pratiche amministrative non trovano applicazioni ed esperienze in Italia, se non in forme ridotte e particolari, poiché il ceto dirigente con mentalità liberale/lista scelse di fare l’opposto: usurpare allo Stato il profitto delle rendite fondiarie ed immobiliari determinato senza merito ma per scelta politica, e consentire a poche famiglie di accumulare capitali senza lavorare. Questo crimine normalizzato e legalizzato, è tutt’oggi in vigore ed è foriero di corruzione e condotte illecite.

Nel resto d’Europa, e nel corso dei decenni le esperienze più virtuose si sono affinate fino a produrre risultati sempre più soddisfacenti per tutti. In questa fase storica i processi di progettazione e costruzione hanno raggiunto standard e livelli molto elevati, soprattutto in termini di tecnologie impiegate, tant’è che nel mondo si realizzano quartieri avveniristici (soprattutto in Asia e Medio-Oriente) mentre nel nostro Mezzogiorno, per assenza di investimenti, i territori restano legati a problemi vecchi lasciati insoluti e le aree urbane sono ancora coinvolte dai famigerati processi speculativi che distruggono l’economia locale. Nel Mezzogiorno d’Italia, in modo particolare, serve riterritorializzare le attività e recuperare il patrimonio esistente con l’approccio conservativo per i centri storici e con l’approccio rigenerativo per le zone consolidate prive di valore storico-testimoniale.

Il ceto dirigente (istituzioni, imprese, università) dovrebbe ripensare il paradigma culturale dominante poiché sbagliato: il capitalismo liberista, e dovrebbe usare e diffondere l’approccio bioeconomico poiché aggiusta gli errori creati da una teologia sbagliata, che ha annichilito la specie umana.

Gli investimenti corretti sono quelli inseriti in un programma vasto che ripensa le agglomerazioni industriali presenti nei Sistemi Locali del Sud, di fatto stimolando l’apertura di nuove attività produttive leggere che aggregano nuove risorse umane; e ripensa le aree urbane estese meridionali attraverso piani di rigenerazione urbana bioeconomica, ma tali strutture andrebbero collegate in una rete per favorire scambi e relazioni umane con mezzi pubblici ed ecologici. Questi processi vanno coordinati da una regia pubblica ma con un coinvolgimento partecipativo attivo e creativo di tutti: università, imprese e cittadini. I processi partecipativi sono fondamentali per costruire identità e auto coscienza dei luoghi al fine di tutelare e valorizzare al meglio le risorse territoriali e predisporre piani efficaci e durevoli, ove gli abitanti possono conoscere e adottare stili di vita più consapevoli e compatibili con la natura e il patrimonio esistente. L’approccio bioeconomico e il ripristino della corretta pianificazione vale per tutte le attività e funzioni che si svolgono sul territorio e nelle aree urbane estese.

ISTAT, spopolamento del Sud per il calo demografico e l’emigrazione dei giovani, 2023.

Coerentemente con i gravi problemi delle disuguaglianze territoriali, tutti gli investimenti previsti andrebbero ampliati e dovrebbero concentrarsi per risolvere le difficoltà delle persone che vivono nei luoghi marginali, sia con il sistema del fondo perduto e sia sviluppando capacità di partenariato fra pubblico e privato attraverso gli strumenti di rigenerazione urbana, progettando gli standard mancanti nelle aree urbane e riprogettando isolati e quartieri. Continuando a utilizzare il paradigma sbagliato: capitalismo e debito, i territori marginali resteranno tali o cresceranno le difficoltà economiche e sociali poiché, in numerosi Sistemi Locali meridionali, non esistono le risorse private per fronteggiare gli interventi rigenerativi necessari a rimuovere le disuguaglianze, mentre le famigerate città globali (New Tork, Tokyo, Londra, Parigi, Barcellona, Milano..) accentrano capitali anche attraverso l’immorale mondo off-shore. Il criterio del fondo perduto, molto utilizzato ai tempi delle politiche keynesiane, deve essere ripreso e agganciato ai piani bioeconomici poiché sono virtuosi e non speculativi. La pubblica amministrazione dovrà compiere un salto culturale riconoscendo il valore dell’approccio territorialista e bioeconomico, e stimolare progetti e studi di fattibilità tecnica ed economica. La progettazione è lo strumento culturale determinante per attrarre investimenti pubblici e privati, mentre assenza di progettazione e cattiva politica sono gli ostacoli principali per qualunque territorio. Il ripristino di capacità creative collettive che interpretano la realtà per aggiustare gli errori del capitalismo è determinante per favorire lo sviluppo civico di una comunità e interi territori, ad esempio favorendo l’autorealizzazione delle persone.

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Investire per cancellare le disuguaglianze

In numerose riflessioni (verde di prossimità, bioregione urbana, aree ASI e fascia costiera, la valle dell’Irno, il disegno di suolo e l’area urbana estesa, esperienze di arredo urbano, un modello di rigenerazione bioeconomica, le scuole, riprogettazione dell’area ASI, la città rete-meridionale) ho esposto diversi punti di vista per stimolare la creazione di attività utili al nostro territorio, e il punto focale di molte riflessioni è la pianificazione: nel senso più ampio del termine cioè economica, territoriale e urbanistica. Il ceto dirigente, aderendo all’ideologia del famigerato mercato ha rinunciato alla pianificazione istituzionale e lascia che le imprese decidano il futuro economico di un territorio: il risultato è sotto i nostri occhi, in Provincia di Salerno c’è un alto tasso di disoccupazione: 17,2% (2019) contro il 4, 5, o 6% dei territori normali. L’impegno più importante di una comunità consapevole dovrebbe essere quello di portare il tasso di disoccupazione a livelli normali e accettabili, ma il percorso è lungo e tortuoso, e nel percorrerlo è determinante una buona dose di creatività, di capacità dialogo e di apertura mentale, poiché nel corso degli anni è facile intuire che decine di migliaia di persone non potranno mai raggiungere l’auto sufficienza economica senza l’aiuto dello Stato. I Paesi normali e civili hanno sistemi di welfare efficaci perché aiutano tutti, e sono capaci non solo di unire domanda e offerta di lavoro, ma di creare nuovi impieghi e aderenti alle capacità delle persone e alle necessità del territorio. I Sistemi Locali del Lavoro virtuosi, normalmente, programmano corsi di aggiornamento e di formazione per qualunque persona, cioè le istituzioni locali hanno enti di formazione professionale e realizzano corsi per qualsiasi individuo che voglia imparare un mestiere richiesto dalle imprese del territorio. Questa semplice programmazione (formazione-lavoro) unisce domanda e offerta di lavoro. I Paesi normali e civili non hanno mai rinunciato alla pianificazione, anzi è il loro punto di forza ed investono ingenti risorse nei luoghi marginali per condurli a livelli adeguati, cioè al pari dei Sistemi Locali del Lavoro economicamente più forti. I Paesi normali e civili non hanno disuguaglianze territoriali come quelle fra il Nord e il Sud d’Italia, poiché sono ritenute immorali, stupide e dannose per l’economia della Nazione. Nel nostro Mezzogiorno non esiste un sistema di welfare normale e adeguato ai problemi sociali ed economici del territorio. Le istituzioni danno la netta impressione di continuare a ignorare questo problema, scegliendo strade politiche sbagliate e obsolete perché lasciano insoluti i problemi contribuendo ad aumentare il divario fra Nord e Sud. E’ altresì vero che lo Stato programma disuguaglianze territoriali poiché non distribuisce le risorse di tutti in maniera equa, anzi privilegia territori già ricchi a danno degli altri. Inoltre, le disuguaglianze economiche e sociali non sembrano essere un tema prioritario né per le famiglie e né per il ceto politico dirigente del Sud. Le maggioranze politiche condotte al potere dagli elettori non sembrano capaci di risolvere le disuguaglianze, e le forze economiche più agiate continuano a orientare le scelte governative, cioè lo status quo resta immutato, mentre con lo scorrere del tempo aumentano i poveri, perché fu sbagliata la scelta politica di aderire alla religione neoliberista dove le imprese private sono libere di perseguire la propria avidità, e lo Stato rinuncia ad intervenire per correggere gli errori del capitalismo. Quando una società rinuncia a sé stessa, e sceglie il nichilismo capitalista sopravvive solo il mercato, e il potere si concentra sugli individui che possono comprare e vendere una merce, ma questa è la nostra realtà: un’esistenza mercificata dove non esistono diritti e non esistono valori, né umani e né naturali. La Costituzione italiana dice ben altro, ma la classe dirigente ha scelto la religione capitalista: tutto è merce, e servono capitali per ogni intervento sul territorio. Si tratta di un arbitrio, un’invenzione, una convenzione, e l’essere umano, se lo desidera, può creare nuove convenzioni, nuove regole e nuovi accordi commerciali per costruire una società migliore di questa. Senza particolari problemi, lo Stato può intervenire sull’economia (come succede in altri Paesi) e può cominciare a costruire territori ove non esiste solo il famigerato mercato, mentre gli Enti locali possono cominciare a valutare gli investimenti con nuovi criteri, cioè osservando gli impatti sociali e ambientali.

Pensare agli investimenti sul territorio significa pianificare, e una corretta e adeguata pianificazione si basa sulla conoscenza, cioè sulla storia e sulle risorse locali, significa conoscere l’esistente per aggiustarlo, cioè affrontare le disuguaglianze per rimuoverle definitivamente e dare alle persone le opportunità che spettano loro, cioè scegliersi liberamente un percorso di crescita individuale, ed in Italia questa libertà non è consentita a tutti ma solo a coloro i quali nascono in ambienti economicamente già forti, con i servizi adeguati e correttamente distribuiti sul territorio. Il destino di molti meridionali è l’ingiusta e l’immorale condanna all’emigrazione per sopravvivere. Questa ingiustizia è ampiamente nota ma volutamente trascurata poiché il sottosviluppo di un’area è la ricchezza di un’altra, e questo schema capitalista è in corso di realizzazione in tutt’Europa, cioè un’élite degenerata programma le disuguaglianze affinché un’area “centrale” possa arricchirsi sulle spalle di un’area “periferica”.

L’approccio territorialista e bioeconomico è quello che può garantire il più alto numero di impieghi ottenibili perché si basa proprio sulla conoscenza approfondita del territorio, con criteri di sostenibilità ed il coinvolgimento degli abitanti nel costruire un percorso di autocoscienza dei luoghi. Lo Stato ha l’obbligo di rimuovere le disuguaglianze perché non sono previste dalla Costituzione e pertanto usando la cultura bioeconomica, le istituzioni dovrebbero ripensare le agglomerazioni industriali interne ai Sistemi Locali del Lavoro, e riconoscendo le nuove strutture urbane estese si potrebbero pianificare processi di rigenerazione urbana e rurale che coinvolgono anche i territori interni. Un obiettivo importante è ridurre il rischio sismico e idrogeologico degli insediamenti umani, e poi costruire nuove relazioni fra città e territori rurali. Per creare nuovi impieghi è importante territorializzare, cioè aprire attività di manifattura leggera per concentrare l’offerta di lavoro in determinati Sistemi Locali del Lavoro del Mezzogiorno, e ripensare la relazione e l’uso del territorio degli abitanti, offrendo loro nuove urbanità e tecnologie utili che tendono all’auto sufficiente energetica.

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Sostenibilità urbana

Cosa si intende per urbanistica sostenibile (o sostenibilità urbana?) e cos’è la rigenerazione urbana? In questo periodo di regressione economica, sociale ma soprattutto morale, molti individui sono smarriti nel nichilismo capitalista, le istituzioni e i media sono l’espressione di questo spirito del tempo materialista, consumista e violento. La religione capitalista ha costruito una società svuotata di senso e di valori, e così anche le città sono l’espressione di questo vuoto, e nell’accezione del pensiero dominante l’urbanistica sostenibile è uno slogan per consentire al capitalismo di sopravvivere durante un periodo di recessione, cioè l’accumulazione dei capitali privati si trasforma fisicamente in città, o quartieri, com’è sua tradizione. E’ evidente che tutto ciò non ha niente a che fare con la sostenibilità, ma tutta la classe dirigente occidentale è espressione del volgare capitalismo liberista, pertanto è normale che sotto la finta veste verde ci sia il becero industrialismo, l’avidità dell’élite degenerata che vive di rendite e privilegi, e pianifica la costruzione di ambienti per preservare la propria categoria di privilegiati. Ciò avviene regolarmente nelle città globali (New York, Los Angeles, Tokyo, Londra, Parigi, Madrid, Barcellona, Milano …), nei quartieri del lusso e nelle gate community. Oltre al famigerato sprawl urbano degli USA, cioè il razzismo capitalista divenuto villettopoli e consumo di suolo, vi è il recente modello dello spreco capitalista del lusso, e sono le città costruite sull’acqua e nel deserto: Abu Dhabi, Dubai e altre città satellite. Numerosi media mainstream e persino riviste specializzate continuano a esprimere una divulgazione “verde” per queste nuove città arabe creando disinformazione. Non dimentichiamo che lo slogan più tossico inventato dai capitalisti è l’ossimoro “sviluppo sostenibile”, o c’è sviluppo o c’è sostenibilità, e lo sviluppo non coincide col progresso, e così come progresso non ha lo stesso significato della crescita, e innovare non significa migliorare. Un processo analogo di “sviluppo sostenibile” avviene per la Cina, il paese che, oggi nel mondo più di tutti, ha costruito e costruisce nuove città, anche in Africa, contribuendo ad aumentare il consumo di materie prime: cemento e acciaio. In questi due ambienti: Emirati Arabi e Cina si sono sviluppate e utilizzate le tecnologie più avanzate, fino al controllo sociale di massa, cioè sono state impiegate numerose innovazioni ma non è detto che si sia conseguito un miglioramento. E’ certo che in Cina, copiando il vizioso e capriccioso stile di vita occidentale è accaduto che numerosi contadini siano stati trasformati in consumatori passivi.

In Occidente, una delle consuetudini recenti più viziose e inutili per risolvere problemi complessi è quello di utilizzare i cosiddetti piani e programmi settoriali rinunciando alla pianificazione urbanistica. Ricordiamo che la pianificazione urbanistica è per sua natura multidisciplinare, mentre un’azienda che vuole vendere il proprio prodotto si occupa di una sola disciplina (settoriale), e così da molti anni think tank finanziati dall’industria creano documenti per influenzare i decisori politici al fine di introdurre le singole tecnologie innovative negli ambienti urbani, siano queste telecomunicazioni o servizi di mobilità. E’ del tutto immaturo, fuorviante e sbagliato introdurre nuove tecnologie senza rimuovere i problemi precedenti determinati da una scorretta morfologia urbana. Facciamo un esempio concreto: è intelligente installare reti di telecomunicazione ma ignorare il rischio sismico e idrogeologico? A cosa serve introdurre una tecnologia se non ci si occupa dell’esistente, proprio quando gli edifici sono arrivati a fine ciclo vita? Inoltre è uno spreco avviare un sevizio di mobilità per collegare cittadini e servizi quando l’urbanistica prevede che i servizi siano raggiungibili a piedi. In un processo di rigenerazione urbana i servizi sono costruiti all’interno della cellula urbana. Per un’Amministrazione locale è più corretto avviare programmi di educazione alla mobilità al fine di scoraggiare l’uso dell’automobile privata, ed è preferibile prioritariamente modificare la morfologia urbana e integrare i mezzi pubblici con l’uso della bicicletta.

L’Occidente, anziché copiare incollare modelli sbagliati può legittimamente usare le migliori tecnologie per aggiustare gli ambienti costruiti, per conservare la propria identità storica e culturale, e per migliorare le condizioni di vita dei propri abitanti.

cellula urbana
Cellula urbana

Poiché non esiste un pensiero critico e condiviso sul reale significato di “rigenerazione urbana” e “sostenibilità urbana”, politicanti e media possono divulgare qualunque contenuto privo di senso al fine di perseguire il solito mantra: vendere, vendere, vendere. L’unico modo per realizzare un’urbanistica sostenibile e avviare programmi di rigenerazione urbana, è quello di compiere un salto culturale verso l’approccio bioeconomico che trasforma la funzione della produzione capitalista, cioè la snatura introducendo criteri di misura dell’entropia (i flussi di energia e materia) e degli impatti sociali delle trasformazioni urbane. In questo modo il capitalismo non è più capitalismo. Dal punto di vista dell’urbanistica, le regole compositive sono dettate dal famoso concetto di “cellula urbana”, e tutt’oggi questo è il modello per costruire una città sostenibile. Su una determinata area si costruisce una densità media di edifici con mixitè funzionale e sociale, e gli abitanti si spostano prevalentemente a piedi grazie al fatto che i servizi sono tutti collocati entro un raggio di 400 mt, mentre i servizi di rango superiore sono tutti raggiungibili dai mezzi di trasporto pubblico. Queste semplici regole di proporzionalità, armonia e bellezza determinano la sostenibilità di un ambiente urbano ma spesso sono state disattese perché la borghesia italiana ha preferito costruirsi i propri privilegi sfruttando le rendite, ma usurpando il bene comune e trascurando i diritti di tutti. Una strategia di rigenerazione urbana per le zone consolidate mal costruite nei decenni precedenti, è quella di cominciare a riprogettare gli isolati considerando le regole compositive della cellula urbana. I progettisti urbanisti: architetti, pianificatori e ingegneri, sono capaci di leggere la forma urbana, sono capaci di esprimere un adeguato disegno urbano osservando e interpretando il territorio, ed è questo che crea la sostenibilità delle città, nient’altro. Oggi vi sono criteri d’interpretazione e valutazione più complessi rispondenti a esigenze più ampie. Alle conoscenze tecniche compositive molto note (il dimensionamento dei quartieri e della cellula urbana), oggi si aggiungono altre conoscenze tecnologiche che rendono possibili obiettivi preconizzati nell’Ottocento dagli utopisti socialisti, e cioè l’auto sufficienza energetica delle città e il riciclo di “materie prime seconde”. Oggi in Italia, ovviamente, non si costruiscono nuove città ma le regole compositive possono essere adottate per aggiustare le zone consolidate, cioè i quartieri esistenti mal costruiti dalle speculazioni. Le città italiane trasformate in aree urbane estese possono essere lette come sistemi metabolici, con flussi di energia e materia in ingresso e in uscita. Le funzioni di flusso possono essere individuate, misurate e corrette riducendo drasticamente gli impatti ambientali e sociali, e nel fare ciò si possono realizzare nuovi impieghi utili. L’approccio bioeconomico crea un immenso indotto occupazionale, più del tradizionale capitalismo. Ogni area urbana estesa italiana ha criticità sociali, economiche e ambientali realizzate fra gli anni ’50 e ’90 del Novecento, poiché spesso le Amministrazioni comunali non sono state capaci di fare bene i piani regolatori, costringendo gli attuali abitanti a vivere in ambienti mal costruiti. Tutt’oggi è facile scontrarsi con l’incompetenza di Amministrazioni locali poiché rinunciano all’urbanistica per preferire piani edilizi speculativi forieri di rendite parassitarie. Per realizzare un’efficace sostenibilità territoriale bisogna riconoscere le strutture urbane estese che non tengono conto degli attuali confini amministrativi; individuare le strutture urbane esistenti e le relazioni di flusso degli abitanti, e fare approfondite analisi urbanistiche e poi orientare le scelte sul piano culturale bioeconomico, al fine di utilizzare al meglio le risorse locali e aggiustare gli errori del capitalismo e delle speculazioni edilizie. Tutto ciò crea un enorme indotto occupazionale ma utile allo sviluppo umano.

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E’ il capitalismo baby!

Lo spreco delle risorse naturali è una conseguenza di una nota religione chiamata capitalismo, com’è noto da molti secoli, la nostra società è psico programmata da questa credenza ma non riesce ancora a liberarsene poiché il ceto politico dirigente e la cittadinanza fanno fatica a riconoscere contraddizioni e danni sociali e ambientali. Fino ad oggi, ogni “soluzione” proposta è emersa esattamente dallo stesso paradigma culturale dominante e di conseguenza, ovviamente, è risultata fuorviante, inefficace o una presa in giro. Circa sette anni fa, il 12 luglio 2013 a Milano, ho partecipato come relatore per conto del Movimento per la Decrescita Felice ad un incontro promosso dal “Forum Salviamo il Paesaggio Difendiamo i territori” sul tema “consumo di suolo” (Le proposte di legge sul contenimento di suolo a confronto). In quell’occasione riscontrai ottime intenzioni ma gli stessi limiti culturali sopra descritti, poiché si è voluto affrontare un problema politico gestionale di carattere etico e morale con l’approccio scientifico; un punto di vista legittimo e persino corretto ma ingenuo poiché si è voluto raccontare, forse in maniera presuntuosa, che se il ceto politico fosse correttamente educato all’informazione scientifica allora quest’ultimo prenderebbe decisioni migliori. Secondo la mia modesta opinione, questo è un approccio perfetto in ambito scolastico ma del tutto ingenuo e inefficace in ambito pubblico e politico, infatti non si sono avuti risultati. Il ceto politico dominante è perfettamente consapevole dell’esistenza dell’entropia ma se ne frega poiché per le imprese più influenti e potenti sul pianeta conta, prima di tutto, il profitto: la loro avidità. E’ prerogativa delle democrazie liberali fare la banale somma degli interessi privati, anziché far valere i principi morali, e nel nostro caso far prevalere l’interesse generale descritto nella Costituzione. In una società capitalista, la somma degli interessi privati, spesso, si traduce in prevaricazione del ceto economicamente più forte. E così la conseguenza è stata scontata: nulla di fatto; perché non si vuole riconoscere pubblicamente ciò che è evidente a qualunque persona ragionevole: il problema è la religione capitalista che ha mercificato ogni cosa: territorio e persone, e nelle città si declina con la famigerata rendita e il regime giuridico dei suoli. Nel merito del governo del territorio, inoltre si trascura completamente un’altra evidenza, nota soprattutto a urbanisti, geografi urbani, paesaggisti, e cioè che l’armatura urbana italiana è cambiata radicalmente, e che gli attuali confini amministrativi dei Comuni sono del tutto obsoleti e persino dannosi, e poi ancora, l’ormai consolidata riforma sulle autonomie locali ci consegna un’Italia federale che ha favorito l’aumento delle disuguaglianze territoriali anche a causa dall’esistenza di circa 8000 comuni e leggi regionali tutte diverse che producono disuguaglianze di welfare urbano e standard minimi da realizzare. Da un lato si trascurano evidenze di carattere politico, culturale ed etico, e dall’altro si ignora la complessità dell’armatura urbana italiana che necessita di un cambio di scala amministrativo: una riforma degli Enti locali su base territoriale leggendo le strutture urbane dentro i Sistemi Locali del Lavoro (sono 611 quelli rilevati dall’ISTAT). In buona sostanza, il consumo di suolo è l’effetto del capitalismo e non la causa! Parlare pubblicamente “di stop al consumo” è un esercizio demagogico fuorviante, così come credere che nei Consigli regionali e comunali, sieda un ceto politico capace di interpretare uno strumento complesso come un piano regolatore (ovviamente esistono eccezioni di politici che sono architetti, ingegneri oppure sono formati/informati da professionisti), significa credere alle favole poiché è lo stesso ceto politico che favorisce la corruzione morale e materiale proprio attraverso i piani regolatori generali che regalano rendite parassitarie agli immobiliaristi.

La disciplina urbanistica è giovane, poco compresa e spesso edulcorata o assente nei cosiddetti piani regolatori generali che il ceto politico locale utilizzata come piani edilizi per favorire l’accumulazione capitalista privata e non come piani urbanistici per costruire servizi a tutti gli abitanti.

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Un disegno urbano per Salerno 4

Negli interventi precedenti (1, 2, e 3) ho accennato all’idea di pianificare la nuova città estesa salernitana attraverso l’approccio bioeconomico, che in tal caso prevede di interpretare i valori patrimoniali, elabora forme di rappresentazione identitaria e le regole che definiscono il rapporto fra insediamenti e invarianti strutturali, crea scenari strategici per la costruzione sociale del progetto di territorio e poi individua gli elementi costitutivi del progetto stesso. La bioregione urbana realizza un approccio integrato (co-evoluzione fra luogo, lavoro e abitanti) e sostenibile fra insediamenti umani e natura, ad esempio, fra le varie opportunità dell’approccio territorialista vi è quella di realizzare la tutela dei servizi ecosistemici e la progettazione di reti ecologiche polivalenti ponendo attenzione al territorio agri-urbano definendone i confini e la fruizione per i cittadini. Intraprendere un cambio paradigmatico della società è la strada più saggia per creare opportunità a tutti gli abitanti, e uscire dalla marginalità economica e sociale che condanna Salerno e il Mezzogiorno, dove i giovani scappano verso Sistemi Locali più attraenti perché riscontrano concrete opportunità di impiego. Immaginare di realizzare un piano intercomunale bioeconomico fra gli 11 comuni della nuova città salernitana è la strada politica e concreta per pianificare il territorio e costruire futuro. Storia, ambiente e patrimonio storico rappresentano le invarianti strutturali mentre le nuove tecnologie consentono di rigenerare gli insediamenti urbani, e nel farlo possiamo immaginare nuove funzioni e attività per sostenere lo sviluppo umano. Persone, scuola, università e imprese possono convivere in luoghi urbani messi in rete e favorire creatività e innovazioni compatibili con l’ambiente. All’interno della struttura urbana estesa, da decenni la nuova città salernitana, vi sono numerosi volumi sottoutilizzati o abbandonati, ed è questo lo spazio ove riscontriamo la complessità ma carente di infrastrutture, ed è il luogo delle nostre opportunità. In questi spazi possiamo costruire nuove funzioni, reti ecologiche (parchi e luoghi custodi di biodiversità), nuovi servizi ove realizzare ricerca, luoghi di aggregazione e di svago (sport, eventi…) e imprese per l’innovazione messe in rete con sistemi di mobilità intelligente. Nuovi luoghi che aiutano gli scambi e le relazioni ove le persone possano fare esperienze e migliorare se stessi, possiamo costruire servizi e luoghi che fanno crescere la conoscenza attraverso lo studio e la ricerca. E’ questo il percorso che consente di uscire dalla periferia economica e invertire il flusso di risorse umane; i meridionali non saranno più costretti a emigrare ma al contrario altri vorranno vivere nella nuova città poiché potranno fare esperienze e trovare impiego.

Pianificazione, architettura e design urbano sono gli strumenti culturali per rigenerare l’area urbana estesa. Ad esempio, nel campo della pianificazione, l’area urbana estesa necessita di nuovi sistemi di mobilità per trasformare lo spazio fisico in funzione dei flussi (autobus, taxi, metropolitana, biciclette, percorsi pedonali, isole pedonali) e unire scuole, cura dei bambini, parchi, tempo libero, istituzioni e posti di lavoro. Nella città estesa salernitana (da M. S. Severino-valle dell’Irno, Salerno comune centroide, fino a Battipaglia) coesistono due stili di vita contrapposti figli l’uno dell’individualismo e l’altro del comunitarismo, entrambi animati all’interno dello spazio dei flussi quotidiani, stimolati anche da internet, oltreché dal lavoro e dallo studio. Le relazioni determinano flussi fisici e flussi virtuali, e queste si sviluppano a prescindere dallo specifico contesto di riferimento. Un corretto disegno urbano tiene conto di queste apparenti contraddizioni tipiche della società delle reti, e progetta un efficiente sistema di mobilità intelligente integrato ai servizi, al lavoro e al tempo libero. Nel campo dell’architettura è necessario progettare edifici di senso e non più merci edilizie, non più simboli del consumismo, e nel campo del design urbano è altrettanto necessario progettare luoghi di senso (lo spazio pubblico) facendo recuperare i legami tipici delle comunità. Lo spazio è l’elemento chiave della connessione fra persone che si contrappone alla città dei consumi (i centri commerciali). Particolare attenzione bisogna porre proprio alla dimensione umana realizzando luoghi vivaci, sicuri, sostenibili e sani, tutto ciò aumentando l’interesse per i pedoni, i ciclisti e la convivialità cittadina. Questa vivacità aumenta quando più persone sono invitate a camminare, a usare la bicicletta e stare negli spazi urbani. La sensazione di sicurezza aumenta quando gli spazi pubblici  sono attrattivi e sono dotati di una variazione di funzioni urbane. La sostenibilità si ottiene integrando la bicicletta col trasporto pubblico, e quando l’uso della bici è una parte naturale quotidiana.

Questo è un percorso lungo e complesso ma stimolante, creativo e innovativo ove cittadini, università, imprese e istituzioni possono decidere di costruire una società migliore perché oggi abbiamo conoscenze e tecnologie per farlo ma manca la volontà politica.

Noi siamo il problema e noi siamo la soluzione!

Salerno beni storico culturali
Pctp 2012

Per i sociologi dell’ambiente

Questo è il mio umile contributo per il XII convegno dei sociologi per l’ambiente presso Università di Salerno. 27 settembre 2019. Parte III – sessioni in parallelo. Sessione B: La bioeconomia tra modernizzazione ecologica e nuovi cicli di accumulazione capitalistica. Titolo del mio contributo La rigenerazione urbana attraverso la bioeconomica. L’intenzione è stimolare un dibattito pubblico sui noti problemi causati dal paradigma culturale dominante, il capitalismo, che negli ultimi decenni ha accelerato la crisi ambientale, ed ha favorito l’aumento delle disuguaglianze territoriali (economiche, sociali e di riconoscimento). La proposta è semplice ma radicale: cambiare il paradigma culturale di riferimento e approdare sul piano bioeconomico, perché ciò può favorire una corretta interpretazione dei territori e di conseguenza, può favorire la costruzione di nuovi piani urbanistici, maggiormente aderenti ai valori e ai principi costituzionali che indicano la tutela dell’ambiente e del paesaggio così come la rimozione degli ostacoli di ordine economico per rimuovere le disuguaglianze.

Il convegno mette al centro della discussione le modalità secondo cui i rapporti politici, sociali ed ecologici si sono riorganizzati e si stanno riorganizzando all’interno del periodo che in molti riconoscono e definiscono come antropocene.

Le aree urbane, la loro crescita e i processi di trasformazione urbana rappresentano una delle attività più impattanti circa l’uso delle risorse limitate del pianeta. Le complesse relazioni sociali degli abitanti sono condizionate dallo spirito del tempo: il capitalismo, fino a coniare il termine “capitalocene”. Condurre il concetto di bioeconomia nei piani di trasformazione urbana, ha la chiara intenzione di ripensare le relazioni sociali, non solo al fine di mitigare le crisi ambientali ma di offrire una prospettiva di sopravvivenza agli abitanti. Un piano urbano bioeconomico rompe la dipendenza delle aree urbane dagli idrocarburi, e può mutare i processi di accumulazione capitalista tipici delle rendite fondiarie e immobiliari. Il cosiddetto metabolismo urbano, con l’analisi dei flussi in ingresso e in uscita, è in grado di costruire meta-progetti e quadri culturali individuando le funzioni territoriali per orientare i piani all’uso razionale dell’energia e valutare l’impatto sociale delle scelte. Ad esempio, la scuola territorialista con la valida proposta interpretativa della “bioregione urbana”, intende i valori identitari del territorio e delle comunità locali favorendone un corretto uso.

Secondo lo scrivente, l’auspicio è quello di ridurre lo spazio del mercato per aumentare lo spazio delle comunità con scambi non necessariamente mercantili. Distinguendo i “beni” dalle “merci” anche nella valutazione dei progetti di trasformazione urbana è possibile eliminare gli effetti speculativi di progetti costruiti sul surplus delle rendite immobiliari. Un corretto disegno urbano può orientare e controllare tale processo per tutelare i ceti economicamente più deboli, così come può tutelare le risorse naturali e il paesaggio urbano. Nell’ambito urbano e degli insediamenti umani, l’approccio bioeconomico supera la dipendenza dagli idrocarburi e ripensa il processo di accumulazione capitalista, non lo elimina del tutto. Un’economia urbana bioeconomica consente alle città di accrescere mercati autarchici, si pensi all’autosufficienza energetica e al consumo di risorse locali, così come il riuso dei materiali, e questa strategia di mercato si integra al mercato globale, non lo sostituisce. La differenza fra il paradigma attuale e quello bioeconomico consiste nel fatto che il secondo aiuta le comunità locali nel ridurre la dipendenza da fattori esterni ai territori.

Nell’ambito bioeconomico, le aree urbane sono sistemi che riorganizzano i propri cicli cercando di chiuderli, cioè riutilizzano le risorse importate, e ottimizzano i flussi energetici riducendo la dipendenza dagli idrocarburi, attraverso l’impiego di un mix di tecnologie che sfruttano le fonti energetiche alternative. Oltre a ridurre l’impronta ecologica delle strutture urbane, attraverso un adeguato “progetto di suolo”, si possono costruire luoghi di relazione e servizi mancanti, e stimolare opportunità di nuova occupazione.