Cosa si intende per urbanistica sostenibile (o sostenibilità urbana?) e cos’è la rigenerazione urbana? In questo periodo di regressione economica, sociale ma soprattutto morale, molti individui sono smarriti nel nichilismo capitalista, le istituzioni e i media sono l’espressione di questo spirito del tempo materialista, consumista e violento. La religione capitalista ha costruito una società svuotata di senso e di valori, e così anche le città sono l’espressione di questo vuoto, e nell’accezione del pensiero dominante l’urbanistica sostenibile è uno slogan per consentire al capitalismo di sopravvivere durante un periodo di recessione, cioè l’accumulazione dei capitali privati si trasforma fisicamente in città, o quartieri, com’è sua tradizione. E’ evidente che tutto ciò non ha niente a che fare con la sostenibilità, ma tutta la classe dirigente occidentale è espressione del volgare capitalismo liberista, pertanto è normale che sotto la finta veste verde ci sia il becero industrialismo, l’avidità dell’élite degenerata che vive di rendite e privilegi, e pianifica la costruzione di ambienti per preservare la propria categoria di privilegiati. Ciò avviene regolarmente nelle città globali (New York, Los Angeles, Tokyo, Londra, Parigi, Madrid, Barcellona, Milano …), nei quartieri del lusso e nelle gate community. Oltre al famigerato sprawl urbano degli USA, cioè il razzismo capitalista divenuto villettopoli e consumo di suolo, vi è il recente modello dello spreco capitalista del lusso, e sono le città costruite sull’acqua e nel deserto: Abu Dhabi, Dubai e altre città satellite. Numerosi media mainstream e persino riviste specializzate continuano a esprimere una divulgazione “verde” per queste nuove città arabe creando disinformazione. Non dimentichiamo che lo slogan più tossico inventato dai capitalisti è l’ossimoro “sviluppo sostenibile”, o c’è sviluppo o c’è sostenibilità, e lo sviluppo non coincide col progresso, e così come progresso non ha lo stesso significato della crescita, e innovare non significa migliorare. Un processo analogo di “sviluppo sostenibile” avviene per la Cina, il paese che, oggi nel mondo più di tutti, ha costruito e costruisce nuove città, anche in Africa, contribuendo ad aumentare il consumo di materie prime: cemento e acciaio. In questi due ambienti: Emirati Arabi e Cina si sono sviluppate e utilizzate le tecnologie più avanzate, fino al controllo sociale di massa, cioè sono state impiegate numerose innovazioni ma non è detto che si sia conseguito un miglioramento. E’ certo che in Cina, copiando il vizioso e capriccioso stile di vita occidentale è accaduto che numerosi contadini siano stati trasformati in consumatori passivi.
In Occidente, una delle consuetudini recenti più viziose e inutili per risolvere problemi complessi è quello di utilizzare i cosiddetti piani e programmi settoriali rinunciando alla pianificazione urbanistica. Ricordiamo che la pianificazione urbanistica è per sua natura multidisciplinare, mentre un’azienda che vuole vendere il proprio prodotto si occupa di una sola disciplina (settoriale), e così da molti anni think tank finanziati dall’industria creano documenti per influenzare i decisori politici al fine di introdurre le singole tecnologie innovative negli ambienti urbani, siano queste telecomunicazioni o servizi di mobilità. E’ del tutto immaturo, fuorviante e sbagliato introdurre nuove tecnologie senza rimuovere i problemi precedenti determinati da una scorretta morfologia urbana. Facciamo un esempio concreto: è intelligente installare reti di telecomunicazione ma ignorare il rischio sismico e idrogeologico? A cosa serve introdurre una tecnologia se non ci si occupa dell’esistente, proprio quando gli edifici sono arrivati a fine ciclo vita? Inoltre è uno spreco avviare un sevizio di mobilità per collegare cittadini e servizi quando l’urbanistica prevede che i servizi siano raggiungibili a piedi. In un processo di rigenerazione urbana i servizi sono costruiti all’interno della cellula urbana. Per un’Amministrazione locale è più corretto avviare programmi di educazione alla mobilità al fine di scoraggiare l’uso dell’automobile privata, ed è preferibile prioritariamente modificare la morfologia urbana e integrare i mezzi pubblici con l’uso della bicicletta.
L’Occidente, anziché copiare incollare modelli sbagliati può legittimamente usare le migliori tecnologie per aggiustare gli ambienti costruiti, per conservare la propria identità storica e culturale, e per migliorare le condizioni di vita dei propri abitanti.
Poiché non esiste un pensiero critico e condiviso sul reale significato di “rigenerazione urbana” e “sostenibilità urbana”, politicanti e media possono divulgare qualunque contenuto privo di senso al fine di perseguire il solito mantra: vendere, vendere, vendere. L’unico modo per realizzare un’urbanistica sostenibile e avviare programmi di rigenerazione urbana, è quello di compiere un salto culturale verso l’approccio bioeconomico che trasforma la funzione della produzione capitalista, cioè la snatura introducendo criteri di misura dell’entropia (i flussi di energia e materia) e degli impatti sociali delle trasformazioni urbane. In questo modo il capitalismo non è più capitalismo. Dal punto di vista dell’urbanistica, le regole compositive sono dettate dal famoso concetto di “cellula urbana”, e tutt’oggi questo è il modello per costruire una città sostenibile. Su una determinata area si costruisce una densità media di edifici con mixitè funzionale e sociale, e gli abitanti si spostano prevalentemente a piedi grazie al fatto che i servizi sono tutti collocati entro un raggio di 400 mt, mentre i servizi di rango superiore sono tutti raggiungibili dai mezzi di trasporto pubblico. Queste semplici regole di proporzionalità, armonia e bellezza determinano la sostenibilità di un ambiente urbano ma spesso sono state disattese perché la borghesia italiana ha preferito costruirsi i propri privilegi sfruttando le rendite, ma usurpando il bene comune e trascurando i diritti di tutti. Una strategia di rigenerazione urbana per le zone consolidate mal costruite nei decenni precedenti, è quella di cominciare a riprogettare gli isolati considerando le regole compositive della cellula urbana. I progettisti urbanisti: architetti, pianificatori e ingegneri, sono capaci di leggere la forma urbana, sono capaci di esprimere un adeguato disegno urbano osservando e interpretando il territorio, ed è questo che crea la sostenibilità delle città, nient’altro. Oggi vi sono criteri d’interpretazione e valutazione più complessi rispondenti a esigenze più ampie. Alle conoscenze tecniche compositive molto note (il dimensionamento dei quartieri e della cellula urbana), oggi si aggiungono altre conoscenze tecnologiche che rendono possibili obiettivi preconizzati nell’Ottocento dagli utopisti socialisti, e cioè l’auto sufficienza energetica delle città e il riciclo di “materie prime seconde”. Oggi in Italia, ovviamente, non si costruiscono nuove città ma le regole compositive possono essere adottate per aggiustare le zone consolidate, cioè i quartieri esistenti mal costruiti dalle speculazioni. Le città italiane trasformate in aree urbane estese possono essere lette come sistemi metabolici, con flussi di energia e materia in ingresso e in uscita. Le funzioni di flusso possono essere individuate, misurate e corrette riducendo drasticamente gli impatti ambientali e sociali, e nel fare ciò si possono realizzare nuovi impieghi utili. L’approccio bioeconomico crea un immenso indotto occupazionale, più del tradizionale capitalismo. Ogni area urbana estesa italiana ha criticità sociali, economiche e ambientali realizzate fra gli anni ’50 e ’90 del Novecento, poiché spesso le Amministrazioni comunali non sono state capaci di fare bene i piani regolatori, costringendo gli attuali abitanti a vivere in ambienti mal costruiti. Tutt’oggi è facile scontrarsi con l’incompetenza di Amministrazioni locali poiché rinunciano all’urbanistica per preferire piani edilizi speculativi forieri di rendite parassitarie. Per realizzare un’efficace sostenibilità territoriale bisogna riconoscere le strutture urbane estese che non tengono conto degli attuali confini amministrativi; individuare le strutture urbane esistenti e le relazioni di flusso degli abitanti, e fare approfondite analisi urbanistiche e poi orientare le scelte sul piano culturale bioeconomico, al fine di utilizzare al meglio le risorse locali e aggiustare gli errori del capitalismo e delle speculazioni edilizie. Tutto ciò crea un enorme indotto occupazionale ma utile allo sviluppo umano.
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