Un Paese incivile e ingiusto

Le disuguaglianze, molto probabilmente, sono la causa principale dell’infelicità di milioni di italiani che vivono nelle zone marginali, cioè quei Sistemi Locali deboli poiché privi di servizi e con alto tasso di disoccupazione, e si trovano, notoriamente, più al Sud ma anche al centro d’Italia, mentre crescono le disuguaglianze anche nelle aree urbane padane più grandi. L’immorale e incostituzionale divario territoriale fra Nord e Sud è creato dalle stesse maggioranze politiche nel corso dei decenni, com’è stato svelato da inchieste giornalistiche RAI, e poi con la ricostruzione dei dati forniti dagli uffici di bilancio e dall’Istat, e la verifica dalle politiche di tutti i Governi; tutto ciò dopo decenni di insabbiamenti e omissioni, e dopo il contributo di una nuova letteratura, più documentata, circa la questione meridionale. L’obiettivo raggiunto, era ed, è quello di concentrare risorse pubbliche in un’area privilegiata ma a danno delle altre.

fonte immagine Itinerari Previdenziali, 2022

La fotografia italiana è scattata ogni anno dall’ISTAT mentre altri istituti aggregano dati ed elaborano le informazioni per restituire altre analisi importanti: ad esempio, su chi paga veramente le tasse. Non solo l’evasione fiscale è stimata intorno ai 100 miliardi (fonte: dataroomgabanelli, 2022), poi scesa ad 86,9 miliardi grazie alla fatturazione elettronica (MEF, Relazione sull’economica non osservata e sull’evasione fiscale e contributiva, 2023), ma resta una cifra enorme e intollerabile, mentre milioni di italiani salariati contribuiscono a tenere in vita lo Stato (welfare e sanità): circa 20,9 milioni, di cui 12,5 milioni di contribuenti paga ben il 53,7% del versato dagli italiani (fonte: Itinerari Previdenziali, 2022); cosa significa? Non sono i ricchi, prima di tutto, a tenere in vita il Paese ma i salariati. Oltre ai dati su chi paga le tasse bisogna aggiungere quelli di Banca d’Italia sulla ricchezza, che mostrano una tendenza nel tempo verso la concentrazione di poche famiglie dimostrando l’aumento del divario fra ricchi e ceti medi, e l’aumento delle disuguaglianze economiche. L’Italia è un Paese con un numero intollerabile di poveri (o sfruttati) ma la realtà comprende anche l’economia sommersa (lavoro nero), pertanto se da un lato i poveri sono aumentati, appare altrettanto chiaro che sono cresciuti i criminali che evadono le tasse. Sui temi fiscali, il problema principale non è l’alta pressione fiscale, ma il fatto che sono troppi i criminali che evadono il fisco scaricando i costi dello Stato su quei pochi che pagano. Questa è l’ingiustizia più intollerabile che grava sulle spalle delle persone oneste e dei lavoratori dipendenti, mentre sono troppe le imprese che sfruttano la schiavitù. Il lavoro nero (l’economia sommersa) contribuisce a far evadere ben 12,6 miliardi, e questa somma se fosse recuperata potrebbe contribuire a realizzare un servizio sanitario migliore e più equo, oltreché contribuire a dare un salario sicuro a decine di migliaia di italiani rendendoli più sereni. Una classe dirigente civile e responsabile ponendosi la priorità assoluta di combattere l’evasione fiscale catturerebbe le somme dovute a costruire i servizi mancanti al Sud: rigenerazione urbana, bonifiche, ferrovie, sanità e scuole.

Per contrastare l’inciviltà qualunque classe dirigente sa bene che la volontà politica è alla base delle azioni dello Stato, pertanto è facile desumere che se in Italia insistono disuguaglianze così intollerabili, la principale responsabilità è degli stessi italiani che non sanno scegliersi un ceto politico adeguato. L’apatia politica degli italiani è la forza incivile che contribuisce a sostenere direttamente e indirettamente le disuguaglianze crescenti e incancrenite al Sud, costringendo intere generazioni ad emigrare, espulse dalle incivili classi dirigenti locali poiché avide ed autoreferenziali.

Nei Paesi normali il contrasto all’inciviltà si realizza con politiche pubbliche attive, cioè creando nuova occupazione utile nelle aree marginali e quindi sottraendo risorse ai criminali per favorire salari dignitosi e consentire alle persone di essere libere e vivere con maggiore tranquillità, ed è ciò che la Costituzione italiana chiede di realizzare.

Superare la speculazione energetica

L’attuale speculazione sulle fonti energetiche fossili è un’estrazione di ricchezza finanziaria dai popoli verso le multinazionali che godono di privilegi e potere economico-politico poiché operano in regime di monopolio e/o oligopolio. Nel caso di specie, il prezzo del gas è suggerito da operatori finanziari della borsa di Amsterdam, il TTF (Title Transfer Facility) istituito nel 2003 dove contrattano produttori nazionali ed internazionali, società di stoccaggio ed operatori di rete. La responsabilità politica di questo prelievo forzoso a danno dei ceti economicamente più deboli è di tutta la classe dirigente italiana ed europea, poiché i politicanti, negli ultimi anni, non hanno voluto favorire l’impiego diffuso delle tecnologie alternative per attuare sistemi intelligenti basati sull’autoconsumo e l’autosufficienza energetica al fine di liberare le famiglie da una obsoleta dipendenza energetica fossile. L’attuale speculazione energetica assume il gusto amaro della truffa politica poiché le possibilità tecnologiche sono alla portata di tutti, ed in modo particolare in Italia che gode di una posizione geografica più favorevole per lo sfruttamento delle fonti energetiche alternative. L’Unione europea è figlia della Comunità Economica del Carbone e dell’Acciaio (1951), ed è un progetto geopolitico di egemonia “atlantista”, cioè figlio degli USA che hanno occupato militarmente l’Europa. Sembra che la “guerra del gas” sia una guerra al gas russo affinché i soldi europei vadano nelle tasche delle imprese americane; ma la realtà delle conoscenze tecnologiche ci insegna che è arrivata la fine degli idrocarburi come fonte primaria di energia, e l’assenza di un interesse politico europeo ed italiano produce danni economici ai ceti già deboli, poiché ricattati da un élite eversiva e degenerata che promuove guerre e distruzioni per potere ed avidità.

Le città italiane dovrebbero diventare luoghi di produzione, stoccaggio e distruzione dell’energia per autoconsumo e non per profitto. Questa strategia di sovranità energetica per le famiglie sarebbe dovuta essere realtà già da qualche anno ed il ritardo è una responsabilità del Parlamento, e non perché mancano le tecnologie per realizzarla. Il ceto dirigente politico italiano, invece, ha voluto favorire la vendita di tecnologie piuttosto che favorire reti intelligenti per l’autoconsumo, e consentire alle famiglie di raggiungere l’autosufficienza energetica che significa autonomia energetica senza dipendere da fonti esterne.

La domanda di energia elettrica di un alloggio italiano è di soli 3,3 kWh; ma transitare ad un sistema senza gas significa immaginare di stoccare almeno 8-12 kWh di energia per acqua calda sanitaria, climatizzazione e cucina, e con un consumo che potrebbe oscillare da 22 a 32 kWh al giorno. Se consideriamo anche l’auto elettrica il fabbisogno energetico sarà di gran lunga più alto, ma soprattutto si dovrebbe prevedere un impianto ad hoc per separare i flussi energetici e garantire un’autonomia energetica all’abitazione. Le tecnologie per sfruttare le energie alternative sono mature ed ampiamente presenti sul mercato, mentre la ricerca italiana dovrebbe investire su sistemi di accumulo più efficienti di quelli presenti sul mercato, poiché la transizione dalle fonti fossili a quelle alternative che utilizzano in prevalenza energia elettrica richiedono un forte aumento di kW. Pensiamo alla mobilità elettrica: sul mercato si trovano auto che accumulano anche 72 kW, pertanto l’impatto energetico è rilevante e questo significa che lo stoccaggio di energia non potrà essere soddisfatto solamente da batterie a ioni di litio, ma bisogna puntare a sistemi alternativi come l’idrogeno, ed altri ancora. Alcune imprese private stanno già commercializzando sistemi di stoccaggio alternativi alle batterie con ioni di litio.

L’Italia dovrebbe investire nella produzione innovativa di sistemi di stoccaggio per soddisfare l’interesse generale e realizzare città autosufficienti. Gli incentivi fiscali sono un sostegno economico alle imprese e non favoriscono l’obiettivo della sufficienza energetica che consentirebbe ad un condominio di acquistare efficienti sistemi di produzione e stoccaggio, e detrarre il costo per diventare autonomi ed indipendenti, anzi le agevolazioni consistono in detrazioni vincolate all’immissione in rete che non ha lo scopo di garantire un’autosufficienza per le comunità ma il vantaggio economico per le SpA che gestiscono le infrastrutture e producono energia (ARERA, TERNA, ENEL). Le norme non sono state pensate per realizzare un’autonomia energetica delle famiglie e delle comunità ma per sostenere i produttori nazionali di energia (ARERA, Terna, Enel…). In un vero mercato libero a sostegno della sostenibilità ambientale, le norme dovrebbero favorire progetti di autoconsumo dell’energia sfruttando tutte le tecnologie alternative. L’agevolazione e/o sovvenzione dovrebbe favorire progetti di autonomia ed autosufficienza energetica sfruttando tutte le tecnologie affinché interi edifici, quartieri, intere porzioni di città e città estese possano costruire reti intelligenti per autoconsumo e non per profitto; tutto ciò in Italia non è favorito nonostante sia possibile realizzare una piena sovranità energetica gestita dai cittadini attraverso cooperative e/o società di azionariato diffuso popolare.

Pensiamo ad un esempio concreto: un condominio costruito negli anni ’60 dovrebbe poter dialogare con un istituto finanziario pubblico presentando la domanda di sovvenzione diretta e/o di detrazione tutti i costi relativi alla manutenzione ordinaria e straordinaria ma ciò non è possibile poiché non esiste l’istituto finanziario pubblico, ed il legislatore ha consegnato i cittadini nelle mani di istituti privati burocratizzando e complicando i processi anche con aliquote detrattive differenziate per tipologia di intervento (cui prodest?) e l’installazione congiunta di solare fotovoltaico e mini eolico non è considerata. Il mercato delle ristrutturazioni oggi è stato travolto e condizionato negativamente dal famigerato supebonus110% mettendo a rischio numerose imprese artigiane. Un’analisi diagnostica sulla struttura portante dell’edificio costruito negli anni ’60 potrebbe suggerire la demolizione dell’immobile, ma il legislatore ha trascurato questo enorme problema di sicurezza e non ha previsto nessun incentivo, e tanto meno ha pensato che tali scelte dovrebbero essere fatte in ambito di pianificazione urbanistica, e non nell’ambito della deregolamentazione circa le attività edilizie libere.

Il ceto dirigente dovrebbe imparare a fare una normale programmazione economica abbinata a politiche territoriali ed urbanistiche al fine di condurre le aree urbane e rurale verso l’autosufficienza energetica, mentre il caro bollette per chi non può pagare va semplice sostenuto con le sovvenzioni. Questa guerra economica, come quella precedente della pandemia, non può essere affrontata restando sul piano teologico sbagliato che prevede la crescita del debito pubblico scaricato soprattutto sulle spalle delle famiglie (rischio aumento della fiscalità generale e stretta del patto di stabilità e crescita), il ceto politico dovrebbe avere il coraggio e l’onestà intellettuale di riconoscere il fallimento del capitalismo e programmare l’uscita dall’economia del debito; in primis scorporando e sottraendo l’aumento debito pubblico causato da pandemia e guerra economica poiché non sono il frutto di scelte politiche autonome e sbagliate ma l’aggressione esterna di eventi non voluti. Quell’aumento del debito pubblico va cancellato al fine di tutelare i diritti di tutti e soprattutto dei ceti economicamente già deboli.

Il nulla nelle istituzioni politiche

Gli italiani, non avendo cambiato la classe dirigente, voteranno a settembre per rinnovare il Parlamento scegliendo le stesse persone e le stesse forze politiche che hanno contribuito a far regredire ulteriormente il Paese, e sono gli stessi che hanno condotto le disuguaglianze economiche e sociali a livelli intollerabili e non più accettabili spingendo decine di migliaia di italiani ad emigrare, chi dal Sud verso il Nord, e chi dall’Italia verso l’estero. La lista degli impresentabili è lunga, e le previsioni annunciano la facile vittoria della colazione di centro-destra. Com’è stato documentato da Tullio De Mauro circa “la cultura degli italiani, il problema dell’Italia siamo noi italiani, incivili e regrediti allo stato infantile dalla teologia capitalista che ci preferisce consumatori passivi, senza identità e cultura. L’Italia fu creata a danno del Sud dal ceto monarchico meno capace d’Europa, i Savoia coordinati dalla massoneria francese ed inglese. I Savoia favorirono la nascita del fascismo, e dopo la dittatura, l’allora Governo italiano firmò una resa senza condizioni agevolando un’occupazione militare americana che scelse la famigerata Democrazia Cristiana come partito di riferimento e strumento di controllo del Paese colonizzato, mentre la neonata Repubblica rinunciò a fare i conti con se stessa ed il fascismo. Tutto ciò dovrebbe evidenziare un fatto sociale e politico drammatico: la nostra totale irresponsabilità ed incoscienza. La maggior parte dei dirigenti e funzionari fascisti rimasero al posto loro, dentro le Istituzioni pubbliche, ed alcuni rimasero a fare politica e gli occupanti americani diedero loro incarichi precisi per controllare, manipolare, depistare, uccidere e destabilizzare il Paese qualora il popolo italiano, credendo di essere libero, avesse votato in maggioranza per il partito comunista. Nel corso degli anni, i servizi segreti hanno commesso omicidi e reati per destabilizzare l’Italia. Sono trascorsi decenni, l’Italia resta un Paese a “democrazia limitata” e le disuguaglianze aumentano e lacerano da decenni vecchie e nuove generazioni, per favorire consorterie private, intrighi, manipolazioni mediatiche. Lo status quo è in buona salute poiché la teologia capitalista garantisce la conservazione di una importante massa di individui ignoranti e nichilisti. La scuola italiana, soprattutto ai gradi medi e superiori rappresenta il modello capitalista poiché favorisce lo sviluppo di individui e consumatori, e non cittadini capaci di pensare liberamente. La società italiana, per molti versi resta feudale poiché la ricchezza si crea attraverso il vassallaggio. Il cosiddetto ascensore sociale millantato dalle democrazie liberali, in Italia, non esiste poiché le opportunità di profitti sono concesse prioritariamente ai ceti “dirigenti” chiusi ed autoreferenziali che occupano indirettamente o direttamente le istituzioni politiche. L’Italia ha creato un sistema produttivo vizioso localizzato principalmente in pianura padana che vive di privilegi, e solo in alcuni Sistemi Locali del lavoro assistiamo a sviluppi meritocratici basati sul rischio dell’imprenditoria privata. Il sistema capitalista non è solo mal distribuito geograficamente, ma vive di rendite parassitarie e favoritismi dal legislatore italiano consentendo alle imprese di pagare meno tasse rispetto ai lavoratori salariati, spesso sfruttati ed i meni retribuiti d’Europa. In Italia, generalmente, buona parte delle imprese non premia il valore, il merito, e non riconosce competenze e conoscenze di chi ha studiato preferendo assumere diplomati pagandoli poco, e quando le imprese sono costrette ad assumere laureati, a questi non viene assegnato loro un impiego rispetto alle proprie competenze mentre il salario è sottostimato. Disuguaglianze di riconoscimento coinvolgono anche le professioni libere, sottopagate rispetto al contesto europeo, ed una più significativa disuguaglianza insiste al Sud, dove le professioni tecniche sono persino sfruttate e mortificate dal contesto sociale. In Italia, le imprese che sfruttano le persone sono troppe, e sono troppo poche quelle che rispettano regole e sono in grado di creare valore, mentre pochi privilegiati continuano ad usurpare i beni comuni a danno della collettività, ed i ceti più deboli sopravvivono ai margini della società ma perseverano nel votare i propri carnefici.

Le maggioranze politiche hanno concentrato soldi pubblici verso la famigerata Fiat, e l’hanno fatto cedendo al ricatto del lavoro ma favorendo la crescita delle disuguaglianze economiche.

I partiti politici occupano lo spazio mediatico evitando di discutere seriamente dei problemi del Paese, e l’attuale campagna elettorale assume i caratteri del ridicolo, della farsa e del grottesco poiché si contrappongono fazioni che hanno la responsabilità politica di aver governato male l’Italia, aumentando i problemi dei lavoratori negando loro diritti ed acuendo la crisi economica, sociale ed ambientale poiché lo Stato, da troppi decenni, non occupa più un ruolo attivo per applicare la Costituzione, mentre ogni attività umana è diventata una merce da comprare e vendere per favorire consorterie di privilegiati ed imprese private. Gli elettori italiani si troveranno liste di forze politiche responsabili dei nostri problemi e della gravissima marginalità economica presente nel Sud dell’Italia. Con estrema tranquillità possiamo prevedere che gli ultimi rinnoveranno la fiducia ai propri carnefici aggravando le condizioni dell’Italia e conservando lo status quo.

ISTAT, infografica sulla disuguaglianza, 2022

La teologia capitalista continua ad essere la fede in cui credere, e tutti i concorrenti al potere politico sgomitano, propagandano, promettono ed offrono la qualunque alle masse, che sono ben liete di credere alle favole di cialtroni, corrotti e buffoni di corte. La crisi della rappresentanza politica ha origini lontane sin dagli anni ’70 quando i partiti non furono capaci di rinnovarsi al proprio interno, e la cittadinanza anziché formare una propria identità politica culturale ha scelto le luci ammiccanti della teologia capitalista, manifestatasi in tutte le sue forme trasformando la società in nichilista, costituita da una maggioranza schiacciante di inutili consumatori passivi. Anche la politica è diventata un prodotto, una merce della pubblicità delle imprese private, ed i politici sono politicanti, e/o attori in commedia intenti a vendere merce. I cittadini sono diventati individui sganciati dalla partecipazione politica. Gli ultimi, apatici e nichilisti, svuotati di un’identità sociale, culturale e politica, votano per i cialtroni di turno a servizio di un’élite egoista, incivile ed autoreferenziale. In questo vizioso corto circuito che danneggia tutti, gli ultimi dovrebbero avere coscienza di se stessi, ma non l’avranno mai poiché l’Italia ha il “popolo” più ignorante d’Europa. Fino a quando la maggioranza degli italiani non accetterà il fatto che la politica è una cosa seria, l’Italia non potrà costruire opportunità e prospettive di un futuro migliore e più sereno per tutti, ma continueranno ad esistere intollerabili disuguaglianze; ove i pochi, usurpando i beni collettivi, sfruttano relazioni privilegiate concesse da politicanti ignobili e corrotti, votati proprio dagli ultimi e dai più bisognosi di uguaglianza e valori Costituzionali, già edulcorati e dimenticati.

Favole?!

Fonte: Agenzia per la coesione territoriale, Rapporto sui tempi di attuazione delle opere pubbliche, 2018

L’immagine mostra i lunghi tempi di realizzazione delle opere pubbliche in base al loro peso economico, si va dai 4/5 anni per le opere poco costose (500 mila, 1 milione di euro) fino ai 15/16 anni per opere sopra il 100 milioni di euro. Il PNRR millanta di spendere miliardi di euro entro il 2026 ma ciò non avverrà, e lo sanno benissimo politici e funzionari pubblici. La pubblica Amministrazione italiana è notoriamente lenta ma il PNRR pone una tempistica sbagliata, che senso hanno impegni e scadenze così ravvicinate? Questa velocità produrrà errori marchiani e sarà foriera di affidamenti poco trasparenti, impropri e illegittimi, favorendo imprese “particolari”. Accadrà che gli Enti pubblici più veloci, che non significa i più bravi, apriranno cantieri dichiarando un primo Stato di Avanzamento Lavori (SAL) e chiederanno proroghe per consentire di finire i lavori, molti altri Enti non saranno in grado di seguire il passo “restituendo” risorse, e ciò solo perché il ceto politico ha voluto imporsi un’agenda intrisa di mera propaganda e favole utilizzando la complessità di una società decadente caratterizzata da problemi reali, emergenze sociali ed ambientali che abbisognano di un approccio amministrativo diverso, con un cambio dei paradigmi culturali della comunità stessa. In numerosi casi, le amministrazioni locali come Regioni e Comuni sono state gli attori principali dei danni economici, ambientali e sociali favorendo disuguaglianze e distruzione dei territori. Questi stessi attori, attraverso il PNRR, dovrebbero fare l’opposto? Un dato inquietante rilevato dall’ANAC nel Rapporto 2020 dice che fra i settori più colpiti dalla corruzione il 74% riguarda gli appalti pubblici. In tal senso, non sarà la velocità di spesa la strada per limitare la corruzione ma l’applicazione corretta dei principi di imparzialità e trasparenza con controlli efficaci dentro la pubblica amministrazione e la successiva ed immediata rimozione di corrotti e corruttori. Il periodo pandemico ha evidenziato un’altra nota patologia politica: attraverso i Commissari straordinari aumenta la discrezionalità delle scelte, si riduce la trasparenza dell’azione amministrativa ed aumentano sprechi e truffe a danno dello Stato. Ebbene il legislatore ha previsto, in caso di inerzia degli Enti locali e dei Ministeri, la nomina di Commissari per attuare il PNRR. Il rischio di non spendere le risorse programmate è condiviso anche da OICE (Associazione delle organizzazioni di ingegneria, di architettura e di consulenza tecnico-economica) che, nel secondo report trimestrale dedicato all’attuazione del PNRR, chiede di velocizzare le gare poiché i dati rilevati informano sul fatto che una gara di progettazione viene esperita in 7/8 mesi dalla pubblicazione del bando e successivamente è necessario affidare la realizzazione alle imprese, e tutto ciò potrebbe essere svolto in cinque anni per le opere più semplici, ma il rischio contenziosi e le altre opere più complesse inducono a credere che non saranno rispettati i tempi previsti dal PNRR. Secondo l’Allegato (Relazione sugli interventi nelle aree sottoutilizzate) del documento di Economia e Finanza 2021, l’Italia la realizzato solo il 32.6% dei progetti previsti dai cicli di programmi di politiche di coesione comunitaria 2007-2013 e 2014-2020.

Fonte: Ufficio Parlamentare di Bilancio, Nota di lavoro: L’Efficienza temporale nella realizzazione delle opere pubbliche in Italia n.2, luglio 2022.

Openpolis: In una relazione del 9 marzo scorso il Dpcoe ha condiviso i risultati del primo processo di verifica, su dati aggiornati al 31 gennaio 2022. Ciò che emerge è che da un lato la soglia risulta mediamente rispettata (40,8% del totale delle risorse con destinazione territoriale) ma dall’altro, approfondendo i risultati, sono 9 le organizzazioni che registrano percentuali inferiori al 40%. Criticità che dipendono anche dalla carenza nel Pnrr, di meccanismi in grado di compensare efficacemente le difficoltà amministrative e progettuali degli enti locali del sud. I quali, più spesso, si trovano svantaggiati nella gestione di bandi e gare d’appalto. Senza tutele in questo senso, il mezzogiorno sta perdendo e perderà molte delle risorse che gli spettano per legge.

Dal punto di vista delle procedure amministrative relative alla pianificazione territoriale ed urbanistica, le misure del PNRR che prevedono finanziamenti per la rigenerazione urbana sono inattuabili poiché mancano sia la programmazione e sia la pianificazione mentre sono dettate tempistiche fuorvianti e sbagliate. Ad esempio, è noto che buona parte delle leggi regionali sul governo del territorio non sono adeguate per attuare interventi di rigenerazione urbana, mentre è altrettanto noto che i Comuni hanno una propria autonomia e gli strumenti urbanistici vigenti, spesso, non prevedono interventi di rigenerazione urbana. La costruzione del PNRR passa attraverso i Permessi di Costruzione (PdC) che devono essere conformi agli strumenti urbanistici comunali, territoriali ed ai piani paesaggistici. E’ facile intuire che molti Comuni, nonostante abbiano la necessità di ricevere fondi attraverso il PNRR, non saranno in grado di intercettare risorse per migliorare la propria morfologia urbana ed offrire servizi nuovi tutt’oggi mancanti. Sarebbe necessaria una semplificazione delle procedure che non c’è, ma soprattutto si dovrebbe cambiare il PNRR, mentre sul piano legislativo nazionale sarebbe saggio armonizzare le leggi quadro normando la rigenerazione urbana ma osservando la complessa realtà urbana italiana costituita da strutture urbane estese.

Il PNRR è un’occasione certa per l’élites, mentre una pubblica Amministrazione incapace farà fatica a inseguire tempistiche fantasiose che sembrano escludere piuttosto che includere, e consentire a tutti di fare programmi ben congeniati, trasparenti e rispondenti ai principi di imparzialità e legalità. Il territorio italiano ha una sua complessità, costituito da aree urbane estese particolari con tematiche comuni e caratteristiche specifiche ed uniche; e non si può predisporre un approccio amministrativo dettato da tempistiche fuorvianti e sostanzialmente errate perché rappresentano dei limiti che non consentono di affrontare seriamente ed efficacemente i temi posti nel PNRR.

Il PNRR è completamente nelle mani delle istituzioni politiche: Governo prima di tutto con una Cabina di regia con poteri di indirizzo, impulso e coordinamento; una segreteria tecnica istituita presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, un servizio centrale del PNRR presso il Dipartimento della Ragioneria generale, un tavolo permanente, un’unità di Audit con funzioni di controllo sull’attuazione del PNRR, un’unità di Missione, e poi i Ministeri, le Regioni ed i Comuni.

I soggetti attuatori del PNRR sono le Amministrazioni centrali, le Regioni, le Province Autonome e gli Enti locali, ed i soggetti attuatori esterni individuati nel PNRR, ad esempio società a prevalente partecipazione pubblica; infine per accelerare la spesa si dà la possibilità agli Enti pubblici di avvalersi di un supporto tecnico-operativo di società in House (art. 38D.Lgs 50/2016).

In caso di inerzia l’art.12 D.L.77/2021 conv. L.108/2021 prevede che il Presidente del Consiglio dei Ministri nomina uno o più commissari ad acta per attuare i progetti previsti.

Le procedure al PNRR sono sostanzialmente centralizzate e con poteri discrezionali. Rilievi di criticità sono evidenziati dall’Associazione Openpolis:

Come ormai noto, l’Italia è la principale beneficiaria dei fondi europei stanziati nell’ambito del programma Next generation Eu. Tuttavia le risorse assegnate al nostro paese non possono essere date per scontate. Le istituzioni europee infatti potranno bloccare l’erogazione dei fondi in caso di gravi inadempienze o ritardi. Anche per questo motivo la trasparenza e la totale accessibilità alle informazioni per cittadini, media e analisti sono fondamentali. Fin dai primi passi del governo Draghi su questo fronte tuttavia avevamo segnalato delle criticità. In particolare evidenziando la carenza di informazioni e la scarsa attendibilità di quelle disponibili. Anche a seguito delle nostre iniziative, con critiche di merito e di metodo sulla qualità del rilascio di dati e informazioni sul Pnrr, la situazione appare in lieve miglioramento.

Il PNRR è un’occasione ma per quelle Amministrazioni che già possiedono abilità e capacità di programmare, pianificare e progettare; cioè tutte quelle esistenti nei Paesi scandinavi, in Germania, Olanda, Spagna e Francia, e qualche comune in Toscana, nelle Marche ed in pianura padana. In Campania, solo il 20% dei Comuni possiede uno strumento urbanistico vigente, e non è detto che sia un buon piano. La realtà è drammatica poiché nelle zone economiche più deboli c’è una manifesta incapacità di programmare, pianificare e progettare.

Come fare per uscire dalla propaganda e spendere risorse pubbliche? Cambiare la tempistica degli obiettivi e coinvolgere direttamente le professioni tecniche in processi partecipativi aperti e trasparenti. Gli Enti locali dovrebbero diventare case di vetro e consentire al sapere tecnico di pensare e preparare progetti, come la rigenerazione urbana e territoriale secondo l’approccio bioeconomico.

Un PNRR adeguato ai bisogni delle aree marginali significa cambiare la pubblica amministrazione stimolando la partecipazione attiva dei cittadini e consentire loro di suggerire nuovi piani urbanistici aggiustando i danni causati dalla teologia capitalista (inquinamento e lavoro). Un PNRR nelle mani dei Consigli comunali e regionali significa privare i cittadini di costruirsi nuove opportunità, anziché aprire le istituzioni. Una necessità vitale è quella di condurre il tasso di disoccupazione nel Meridione ad un fisiologico 3% ripensando le agglomerazioni industriali con tecnologie innovative a scarso impatto ambientale (manifattura leggera) ed alto valore aggiunto.

La strada maestra sarebbe dovuta essere quella di avere un Ministero delle Aree Urbane e Rurali con una struttura come il Comitato Interministeriale per le Aree Urbane e Rurali per rigenerare le aree urbane estese e rurali impiegando l’approccio territorialista e bioeconomico. Com’è noto la struttura urbana italiana è mutata e gli attuali confini amministrativi dei Comuni sono obsoleti e dannosi; gli stessi Comuni, eccessivi per numero, in diverse Regioni si sono dimostrati incapaci di rispondere efficacemente ai numerosi problemi urbani e rurali, ed è per questo motivo che bisogna realizzare un cambio di scala in senso amministrativo da un lato, e sperimentare nuovi processi partecipativi, dall’altro, per favorire l’autocoscienza dei luoghi collegando direttamente sapere tecnico e cittadini. Le aree urbane estese e rurali italiane rappresentano una categoria particolare di urbanizzazione che necessitano di un approccio specifico per essere amministrate e pianificate correttamente per aggiustare gli errori prodotti dalla teologia capitalista, che ancora oggi è viziata dalle famigerate rendite parassitarie. Da questo punto di vista il legislatore esprime un vuoto culturale e politico a dir poco irresponsabile e incivile, ed il PNRR è espressione di questo vuoto.

Fonte: Agenzia per la coesione territoriale, 2018

Pandemia, capitalismo e disuguaglianze

In precedenza ho già scritto che le istituzioni globali hanno deciso di scaricare i costi della pandemia sui ceti economicamente deboli restando sul piano teologico dominante: il capitalismo. Un evento pandemico frutto del capitalismo si trasforma in un’occasione che accelera le disuguaglianze sociali ed economiche, ed i danni maggiori ricadono solo sui ceti economicamente già deboli, che sprofondano nel sottosviluppo.

Il ceto dirigente occidentale ha deciso che la recessione economica innescata dalla pandemia di covid-19 debba essere pagata da tutti, con un’evidente ripercussione sui ceti economicamente già deboli. Anziché riflettere sull’opportunità di uscire dall’economia debito, tutti hanno pensato di restare sul paradigma culturale sbagliato e scaricare il peso economico delle scelte politiche sugli Stati, cioè sulla fiscalità generale. Nella società occidentale dominano i gruppi della finanza, delle banche e delle grandi multinazionali, mentre gli individui e le masse vedono il mondo con gli occhi dei gruppi dominanti, e così queste adottano comportamenti che rispecchiano avidità, egoismo e competitività per discriminare persone e talenti, e consentire all’élite dominante di continuare ad accumulare ricchezze senza lavorare e gestire il potere assecondando i propri capricci.

Questa ingiustizia globale è evidente poiché i Governi hanno scelto di restare nella consuetudine teologica capitalista, che prevede il fatto che i soldi creati dal nulla siano coperti dalla fiducia dei mercati finanziari; cioè gli Stati scambiano Titoli di Stati (debito) con la moneta delle banche centrali. L’attuale teologia capitalista si affida a una consuetudine fittizia per creare moneta ma ha enormi ripercussioni sociali, economiche e finanziarie. La teologia liberale crede che la moneta sia esogena al sistema economico, cosa sbagliata. Anziché osservare la realtà, e cioè che l’economia reale non doveva avere ripercussioni economiche sugli Stati perché la responsabilità del covid-19 non è delle Nazioni ma di un cattivo rapporto fra uomo e natura, da ricercare nel mondo delle imprese private e della ricerca, un rapporto sbagliato insito nella teologia capitalista che mercifica tutto, anche la vita.

Nel contesto attuale, il debito pubblico aumenta per effetto della pandemia e si scarica sugli Stati, ma tutto ciò è ingiusto poiché l’aumento del debito non è il frutto di cattivi investimenti per scelte politiche sbagliate, e quando l’UE ripristinerà gli stupidi criteri fiscali ed economici si avranno ulteriori conseguenze negative proprio sugli Stati più indebitati, tornando a un’austerità immorale che condanna i territori più deboli a restare marginali con enormi ripercussioni sociali, ambientali ed economiche. Secondo i mantra della teologia capitalista il rapporto debito/PIL sarà insostenibile (nel 2010 era circa il 116%, poi passa al 134,8% ad inizio 2020 e schizza al 166,1% per la pandemia), e ciò si tradurrà in austerità, ma tutto ciò per effetto della pandemia e della scelta idiota di restare nell’economia del debito che danneggia alcuni territori ma ne favorisce altri (la disuguaglianza economica-territoriale). La soluzione a ciò è nota: cancellare il debito generato dalla pandemia, e riformare la BCE. Le istituzioni occidentali sono ancora condizionate dalla teologia del mercato che non ha virtù morali ma solo vizi materiali, e danno maggiore considerazione politica ad indicatori fuorvianti ed obsoleti come il PIL e l’economia del debito che conviene all’opaco mondo finanziario (banche e assicurazioni). Un mondo opaco ma chiaro nella sua avidità perché molte imprese sfruttano le giurisdizioni segrete per produrre e vendere in taluni Stati e poi sottrarre tasse necessarie per la fiscalità generale degli stessi Stati scegliendo sedi fiscali più favorevoli, e tutto ciò è legale nell’UE liberista ma ovviamente sleale e immorale. Negli ultimi trent’anni, tutti i Governi hanno cavalcato la mentalità liberista (egoista), hanno smantellato la sanità pubblica, hanno favorito la concorrenza sleale liberista, mentre quei miliardi sottratti dalle imprese private (nascosti nei paradisi fiscali) sono necessari per ricostruire lo Stato che non c’è più, danneggiato anche dall’evasione fiscale. Oltre alla teologia liberista, esiste anche il razzismo di Stato che distribuisce le risorse pubbliche in maniera diseguale regalando più soldi al Nord e meno al Sud, e meno nelle periferie territoriali; in Italia la disuguaglianza è programmata.

Da circa un decennio sappiamo che la società può essere valutata meglio osservando anche altre dimensioni: sociali ed ambientali, perché questi aspetti rispondono meglio ai bisogni delle persone, ed anche l’Italia pubblica rapporti come il Benessere Equo e Sostenibile (BES). Nonostante ciò, le istituzioni politiche continuano a dare maggiore peso alla teologia capitalista liberista, e la crisi pandemica favorisce la competizione dei capitali privati europei interessati a comprare asset strategici dei Paesi già deboli, per accelerare la concentrazione dei capitali in mani private e garantendo nuove rendite finanziarie parassitarie attraverso le famigerate multiutilities che controllano i servizi pubblici locali (la famigerata deregulation liberale realizzata da tutti i Governi italiani).

Gli Stati già ricchi potranno trarre vantaggi economici e sociali aumentando le disuguaglianze territoriali fra Sistemi Locali del Lavoro già produttivi contro Sistemi Locali del Lavoro che ambiscono ad attrarre investimenti pubblici e privati per uscire dalla marginalità economica. La teologia capitalista favorisce i Sistemi Locali del Lavoro già ricchi poiché gli investimenti privati si concentrano in aree già attrezzate. Un’inversione è possibile solo con politiche pubbliche socialiste ove lo Stato interviene nel mercato per ridurre le disuguaglianze, ma questo è uno scenario notoriamente scartato dai Governi italiani che hanno aderito alla teologia liberista da circa trent’anni.

La riposta politica più corretta è ripensare l’economia globale avviando un percorso per uscire dalla teologia capitalista poiché sta distruggendo il pianeta, la casa comune che ci nutre, mentre la nostra specie fatica ad abbandonare convenzioni idiote come il capitalismo.

In ambito locale, le istituzioni possono ripensare il rapporto fra uomo e natura e approdare sul piano culturale bioeconomico per rigenerare i territori creando nuove occasioni di lavoro, ma si tratta “solo” di impieghi utili.

Regressione e miglioramento

In questi anni di grandi cambiamenti tecnologici continuano a crescere le disuguaglianze che diventano patologie sociali complesse. Nel campo della pianificazione le città europee dotate di una tradizione culturale socialista restano i poli attrattori degli investimenti pubblici e privati, mentre territori che hanno rinnegato, manipolato ed edulcorato la pianificazione diventano spazi controversi poiché in parte vi sono zone degradate con disagio sociale ed economico e in parte vi sono zone riservate ai ceti più agiati e privilegiati, basti pensare ai Sistemi Locali dei Paesi mediterranei e dell’Est europeo.

ISTAT, lo spopolamento del Sud con il calo demografico e l’emigrazione dei giovani, 2023.

Nell’UE liberista alcune comunità continuano a compiere scelte socialiste per tutelare i propri abitanti, e ciò avviene con regolarità nella mitteleuropa e nei Paesi scandinavi, mentre la maggior parte del ceto dirigente occidentale preferisce azioni liberiste che producono danni soprattutto nel Sud d’Europa, dove un capitale sociale carente insegue velleità di mercato utili alle imprese private ed alla ristretta élite locale ma dannose per i diritti degli abitanti economicamente deboli. Una classe dirigente scadente lascia insoluti i problemi fotografati nei drammatici dati economici e sociali (basta leggere i report dell’ISTAT), con alti tassi disoccupazione e aumento degli inattivi e della schiavitù (lo sfruttamento salariale è schiavitù legalizzata), e tutto ciò ha risvolti sociali molto negativi poiché la schiavitù risponde ai capricci del mercato come preconizzò Marx, e la società torna ad essere feudale, basata su relazioni di vassallaggio; le persone diventano merce.

Per invertire la regressione sociale, che dura da circa trent’anni, è determinante far crescere il capitale sociale e questo dovrebbe riscattarsi con coraggio abbandonando la teologia capitalista per sperimentare nuovi approcci culturali, ad esempio la cultura bioeconomica con la tradizione europea della corretta pianificazione urbanistica per rigenerare territori e aree urbane estese. Un’adeguata analisi delle strutture urbane e rurali può favorire nuovi investimenti pubblici e privati per creare valore innanzitutto, oltreché ricchezza. Il concetto di valore è diverso da quello di ricchezza materiale, come insegnò egregiamente Marx distinguendo il valore d’uso (bene) dal valore di scambio (merce). Nella nostra Italia il ceto politico locale, spesso indegno, è ancora stupidamente psico-programmato dalla immorale e viziosa religione che mercifica le città, regalando ai proprietari privati enormi ricchezze create per mera scelta politica (senza merito) attraverso dannosi piani edilizi (rendita immobiliare pura), perseguendo pratiche liberiste che risalgono all’Ottocento e inizio Novecento. Pratiche vietate in Germania, Olanda e paesi scandinavi che hanno saputo contrastare il fenomeno della speculazione edilizia attraverso espropri, uso del diritto di superficie e tassazione progressiva delle rendite differenziali con il recupero diretto dei plusvalori.

Ad esempio, molte città nord europee stanno programmando strategie per contrastare il cambiamento climatico aumentando la dotazione di verde pubblico e privato dentro i quartieri esistenti, e costruendo infrastrutture per la mobilità intelligente: integrazione fra biciclette e mezzi di trasporto pubblico, e nuovi servizi concentrati presso le stazioni metropolitane per scoraggiare l’uso dell’auto privata (strategia TOD). Queste Amministrazioni straniere si occupano soprattutto di miglioramenti tecnologici poiché buona parte delle città eredita un’adeguata morfologia urbana, mentre le città italiane hanno dovuto subire un’espansione fisica moderna spesso disordinata e disomogenea, perché il legislatore italiano (negli anni ‘60) si rifiutò di contrastare le speculazioni edilizie, anzi le favorì. Tutt’oggi il legislatore italiano trascura i fenomeni di abusivismo edilizio e i fenomeni di disomogeneità degli insediamenti urbani, consentendo indirettamente l’edificazione di nuove speculazioni edilizie. In tal senso, in Italia è difficile realizzare la sostenibilità urbana perché questa è figlia della corretta pianificazione urbanistica, oggi carente o assente in numerose Amministrazione comunali, e in talune Regioni i fenomeni degenerativi (disordine urbano e rendite parassitarie) sono una prassi dell’azione politica; di fatto il ceto politico locale risulta essere inadeguato e incapace di svolgere il proprio ruolo, e addirittura compie scelte in contrastato con i principi costituzionali e con la disciplina urbanistica nazionale.

Il risultato di tutto ciò è un aumento significativo delle disuguaglianze territoriali, e queste sono di natura economica, come la famigerata questione meridionale determinata da una concentrazione di capitali in pianura padana ma sottratti al Sud, ma si aggiunge anche la disuguaglianza fra talune città del Nord Europa ben pianificate sin dall’inizio Novecento con quelle italiane, condannate dai processi speculativi; poi vi sono le disuguaglianze dentro le città stesse, con quartieri meglio attrezzati e periferie “dormitorio”. Infine le disuguaglianze territoriali fra aree urbane estese (le nuove città italiane) e quelle rurali in continuo abbandono per effetto dello stesso “capitalismo della conoscenza” (maggiore competitività) che concentra investimenti nelle città a danno di quelli agricoli.

La complessità italiana è ampiamente trascurata poiché la classe politica italiana non adotta la normale pianificazione degli investimenti pubblici e dei programmi europei, anzi evita di pianificare per deliberare programmi di spesa senza un piano. Il ceto politico della mitteleuropa pianifica, cioè ha un piano ed in base a quello spende, mentre quello italiano fa l’opposto occupandosi di fare banali programmi di spesa senza esser pianificati, senza un piano, senza un disegno nazionale, mentre la famigerata riforma del Titolo V della Costituzione sta recando danni al Paese ma soprattutto al Sud dell’Italia. Il nostro territorio è diverso dagli altri: abbiamo sia il rischio sismico che quello idrogeologico e le aree urbane estese caratterizzate da fenomeni di disomogeneità degli insediamenti e carenti di servizi (problemi meno presenti in altri Paesi). Dobbiamo contrastare i rischi innescati dai fenomeni naturali e contemporaneamente dobbiamo ricostruire interi pezzi di città per correggere una morfologia urbana sbagliata ed eliminare le speculazioni edilizie (e rendite parassitarie), e ciò può avvenire compiendo un salto culturale.

Un perverso meccanismo burocratico di ispirazione liberista, che rifiuta lo strumento del fondo perduto di ispirazione solidale, consente alle Amministrazioni locali europee di concentrare gli investimenti negli spazi più ricchi e nelle zone economiche speciali per realizzare una concorrenza sleale nei confronti degli altri Paesi. Altre Amministrazioni invece si ispirano alla tradizione socialista ed ecologista, e continuano a migliorarsi mentre la maggioranza dei Comuni italiani, in buona parte incapaci e mal gestiti, continuano a restare inerti recando danno ai propri abitanti che sono indotti ad emigrare. Teologia liberista e cattiva amministrazione stimolano le disuguaglianze territoriali che aumentano anziché esser ridotte o eliminate, mentre in talune città di tradizione socialista si conservano alti standard di qualità di vita che migliorano con le innovazioni tecnologiche.

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Imparare a investire

Il tema degli investimenti, a causa della recessione economica pandemica, sembra assumere un ruolo importante nel dibattito pubblico odierno ma appare altrettanto difficile ascoltare dal mainstream un discorso serio ed efficace. Nella vita quotidiana di ognuno di noi sembra ovvio che le scelte siano dettate da raziocinio per soddisfare bisogni reali, ma non è affatto evidente perché la maggioranza delle scelte che facciamo sono dettate dalle emozioni e condizionate dalla nostra cultura individuale (o dell’ignoranza), e questo processo cognitivo che implica incertezza è analogo in ambito istituzionale, oltreché condizionato da possibili condotte illecite di politici, dirigenti e funzionari. Nel campo della pianificazione e della progettazione tali errori sono quasi assenti, poiché le scelte sono dettate dall’analisi della realtà, ad esempio un efficace piano urbanistico si può realizzare solo attraverso analisi approfondite grazie ai dati scientifici, e lo stesso accade in edilizia su interventi di ripristino negli edifici esistenti per sostituire singoli elementi ammalorati e degradati. Questo approccio scientifico sembra mancare in talune istituzioni, soprattutto se osserviamo la realtà sociale ed economica del nostro Mezzogiorno e le immorali disuguaglianze fra Nord e Sud dell’Italia che iniziano circa 150 anni fà.

La sostanza del discorso è semplice e complessa allo stesso tempo; è semplice poiché un Paese normale e civile programma investimenti nei luoghi marginali per consentire a quegli abitanti di avere le stesse opportunità economiche e sociali degli altri territori, ed è complesso poiché un tale obiettivo si raggiunge nel tempo migliorando la capacità decisionale delle istituzioni e rimuovendo tutti gli ostacoli di ordine economico. Nel caso italiano esistono pubbliche amministrazioni capaci ed incapaci; quelle più impreparate sono caratterizzate da noti fenomeni feudali, clientelari e corruttivi poiché il ceto dirigente locale, applicando la teologia capitalista liberista, ha scelto di sfruttare lo Stato per il mero tornaconto personale ma recando danno alla collettività.

Nel resto dell’Occidente, un approccio culturale socialista, prima di tutto, e poi liberale riguarda i processi di rigenerazione urbana. Le pubbliche amministrazioni europee ereditano le analisi sociali marxsiste per aggiustare le città, e con il trascorrere dei decenni sviluppano  capacità di intervento nelle zone in declino con programmi e piani di trasformazione urbanistica per migliorare la morfologia urbana e creare nuove opportunità per gli abitanti. Questo pratiche amministrative non trovano applicazioni ed esperienze in Italia, se non in forme ridotte e particolari, poiché il ceto dirigente con mentalità liberale/lista scelse di fare l’opposto: usurpare allo Stato il profitto delle rendite fondiarie ed immobiliari determinato senza merito ma per scelta politica, e consentire a poche famiglie di accumulare capitali senza lavorare. Questo crimine normalizzato e legalizzato, è tutt’oggi in vigore ed è foriero di corruzione e condotte illecite.

Nel resto d’Europa, e nel corso dei decenni le esperienze più virtuose si sono affinate fino a produrre risultati sempre più soddisfacenti per tutti. In questa fase storica i processi di progettazione e costruzione hanno raggiunto standard e livelli molto elevati, soprattutto in termini di tecnologie impiegate, tant’è che nel mondo si realizzano quartieri avveniristici (soprattutto in Asia e Medio-Oriente) mentre nel nostro Mezzogiorno, per assenza di investimenti, i territori restano legati a problemi vecchi lasciati insoluti e le aree urbane sono ancora coinvolte dai famigerati processi speculativi che distruggono l’economia locale. Nel Mezzogiorno d’Italia, in modo particolare, serve riterritorializzare le attività e recuperare il patrimonio esistente con l’approccio conservativo per i centri storici e con l’approccio rigenerativo per le zone consolidate prive di valore storico-testimoniale.

Il ceto dirigente (istituzioni, imprese, università) dovrebbe ripensare il paradigma culturale dominante poiché sbagliato: il capitalismo liberista, e dovrebbe usare e diffondere l’approccio bioeconomico poiché aggiusta gli errori creati da una teologia sbagliata, che ha annichilito la specie umana.

Gli investimenti corretti sono quelli inseriti in un programma vasto che ripensa le agglomerazioni industriali presenti nei Sistemi Locali del Sud, di fatto stimolando l’apertura di nuove attività produttive leggere che aggregano nuove risorse umane; e ripensa le aree urbane estese meridionali attraverso piani di rigenerazione urbana bioeconomica, ma tali strutture andrebbero collegate in una rete per favorire scambi e relazioni umane con mezzi pubblici ed ecologici. Questi processi vanno coordinati da una regia pubblica ma con un coinvolgimento partecipativo attivo e creativo di tutti: università, imprese e cittadini. I processi partecipativi sono fondamentali per costruire identità e auto coscienza dei luoghi al fine di tutelare e valorizzare al meglio le risorse territoriali e predisporre piani efficaci e durevoli, ove gli abitanti possono conoscere e adottare stili di vita più consapevoli e compatibili con la natura e il patrimonio esistente. L’approccio bioeconomico e il ripristino della corretta pianificazione vale per tutte le attività e funzioni che si svolgono sul territorio e nelle aree urbane estese.

ISTAT, spopolamento del Sud per il calo demografico e l’emigrazione dei giovani, 2023.

Coerentemente con i gravi problemi delle disuguaglianze territoriali, tutti gli investimenti previsti andrebbero ampliati e dovrebbero concentrarsi per risolvere le difficoltà delle persone che vivono nei luoghi marginali, sia con il sistema del fondo perduto e sia sviluppando capacità di partenariato fra pubblico e privato attraverso gli strumenti di rigenerazione urbana, progettando gli standard mancanti nelle aree urbane e riprogettando isolati e quartieri. Continuando a utilizzare il paradigma sbagliato: capitalismo e debito, i territori marginali resteranno tali o cresceranno le difficoltà economiche e sociali poiché, in numerosi Sistemi Locali meridionali, non esistono le risorse private per fronteggiare gli interventi rigenerativi necessari a rimuovere le disuguaglianze, mentre le famigerate città globali (New Tork, Tokyo, Londra, Parigi, Barcellona, Milano..) accentrano capitali anche attraverso l’immorale mondo off-shore. Il criterio del fondo perduto, molto utilizzato ai tempi delle politiche keynesiane, deve essere ripreso e agganciato ai piani bioeconomici poiché sono virtuosi e non speculativi. La pubblica amministrazione dovrà compiere un salto culturale riconoscendo il valore dell’approccio territorialista e bioeconomico, e stimolare progetti e studi di fattibilità tecnica ed economica. La progettazione è lo strumento culturale determinante per attrarre investimenti pubblici e privati, mentre assenza di progettazione e cattiva politica sono gli ostacoli principali per qualunque territorio. Il ripristino di capacità creative collettive che interpretano la realtà per aggiustare gli errori del capitalismo è determinante per favorire lo sviluppo civico di una comunità e interi territori, ad esempio favorendo l’autorealizzazione delle persone.

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Immaginare una Salerno migliore

All’interno del laboratorio politico “Salerno Partecipa” si sperimentano processi creativi e costruttivi dell’azione politica, ed il tema dell’ultimo incontro svolto (24 giu 2020) è stato quello di raccontare un’idea, un’immagine della Salerno che desideriamo, ogni partecipante ha espresso il proprio immaginario collettivo.

L’immagine collettiva, più o meno la somma dei desideri espressi, ci dice che i partecipanti nell’esprimere la percezione soggettiva della città, riscontrano carenze e difficoltà, e sognano una politica diversa per trasformare la città in un luogo più conviviale attraverso la risoluzione dei problemi esistenti, ad esempio: migliorare la mobilità, svolgere la manutenzione degli spazi e del patrimonio pubblico ed affrontare le disuguaglianze territoriali fra i vari quartieri ove mancano ancora i servizi. Questa convivialità passa attraverso una corretta progettazione dello spazio pubblico al fine di avere più luoghi pensati per gli abitanti e non più per le automobili, ad esempio. L’immagine collettiva di questa città migliore, si ritiene possa essere realizzata anche attraverso il recupero del senso di comunità degli abitanti, ad esempio con azioni civiche e di gestione di spazi pubblici oggi trascurati dalla normale manutenzione. Un altro problema molto importante è l’emigrazione della fascia di età più creativa e produttiva, cioè i laureati che abbandonano il comune capoluogo; alcuni si sono trasferiti nei comuni limitrofi ove gli immobili hanno un prezzo ridotto, mentre altri hanno lasciato la Regione per cercare un impiego più soddisfacente. Infine si osserva che la città non è più dentro i confini amministrativi ormai obsoleti ma si è trasformata in un’area urbana estesa, ed è questa l’area vasta, lo spazio urbano che gli abitanti vivono quotidianamente, e che andrebbe pianificata correttamente con l’approccio bioeconomico. Se ci fossero più attività e funzioni creative e produttive, Salerno potrebbe diventare una città più aperta e inclusiva attraendo persone dall’estero, e questo incontro di culture diverse aiuterebbe lo sviluppo umano della nostra comunità, oggi poco dinamica e chiusa in sé stessa.

I temi posti all’attenzione sono complessi ma estremamente interessanti poiché l’esercizio di “Salerno Partecipa” stimola i partecipanti ad attivare una funzione intellettiva molto importante: la creatività e la progettazione, cioè questo laboratorio politico sperimenta modelli creativi di partecipazione attiva e proietta nel nostro cervello l’immagine di una città diversa, pensata anche dagli abitanti per gli abitanti. Questo processo è determinante per costruire una visione futura condivisa.

Le persone si incontrano, ognuna con il proprio bagaglio culturale, con le proprie idee, intorno a un tema, ed ognuno ha l’opportunità di intervenire per esprimere la propria visione. Conclusa la fase di condivisione è possibile aggregare le idee e costruire una visione comune. Le capacità analitiche e propositive, e la qualità delle stesse idee dipendono esclusivamente dalle competenze personali, ed ove manchi una conoscenza specifica un partecipante all’interno del gruppo, un esperto, può intervenire per correggere gli errori creando un percorso virtuoso di auto correzione. Nel tempo, idee e partecipanti possono trasformare l’utopia e l’immaginario in visione politica creativa e costruttiva tesa a diventare opportunità di sviluppo umano, sociale, economico ed ambientale. La Politica con la “P” maiuscola.

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Critica e autocritica della cittadinanza

Cittadini?! Cosa si intende quando ci si definisce cittadini? Non mi riferisco al significato giuridico (cittadinanza e diritto di voto) ma al significato più ampio che riguarda la propria condotta di vita, il proprio stile di vita (amicizie, attività, lavoro, svago, e consumi…). Il cittadino è una persona istruita e formata sui propri diritti e doveri costituzionali, Platone direbbe è la persona uscita dalla caverna, in grado di partecipare in maniera matura al processo decisionale della politica. Il cittadino, dunque, ha un adeguato livello di istruzione, ha una propria cultura politica e sa rapportarsi con le istituzioni esprimendo un giudizio critico e consapevole, e grazie all’insieme di queste caratteristiche, cultura e civismo, riesce a dare il proprio contributo politico alla comunità affrontando temi e problemi, per migliorarla. Chiarito il senso dell’ampio significato che si attribuisce al termine “cittadino”, allora: quanti sono i “cittadini” italiani?

Detto ciò, secondo la mia modesta opinione, bisogna tener presente della realtà socio-culturale degli italiani fotografata egregiamente da Tullio De Mauro, circa l’alta percentuale di individui incapaci di capire ciò che leggono, e poi bisogna osservare che le istituzioni politiche italiane non amano la partecipazione popolare dei cittadini anzi la scoraggiano, oppure, in presenza di strumenti e istituti di partecipazione, gli Enti locali edulcorano i processi partecipativi affinché le scelte ricadano verso obiettivi preconfezionati secondo i capricci e gli interessi delle élites locali e nazionali. In Italia, le persone sono isolate e sganciate dal processo decisionale della politica, o perché ignoranti e incapaci di comprendere e di partecipare, o perché non esistono efficaci strumenti di partecipazione popolare. Infine, non esiste un partito politico che si occupi di ciò e cioè stimolare la partecipazione politica, quella vera ove si affrontano i problemi di ignoranza funzionale e di ritorno delle masse e si propongono efficaci strumenti di partecipazione popolare dove i processi non sono edulcorati da un guida o da un’idea precostituita dal potere. Un grande e profondo cambiamento della nostra società, e della sua reale trasformazione, è l’avvio di percorsi civici che aiutano le persone a uscire dall’auto isolamento culturale, cominciando dalla cultura di base: scientifica, filosofica e storica per conoscere i territori e comprendere sé stessi. L’atteggiamento mentale corretto è quello che vuole aprirsi e fare esperienze, fidarsi degli altri ed assumersi le responsabilità, vivendo il presente; ed è questo il modo corretto per sperimentare adattandosi e realizzandosi nell’affrontare e discutere soluzioni e problemi. Ad esempio, le persone che mettono in discussione idee fisse favoriscono l’apertura mentale che incentiva nuove esperienze volte a migliorarsi. Le comunità chiuse, invece, sono quelle che ostacolano il miglioramento sociale perché hanno idee e schemi fissi radicati che provengono da abitudini e consuetudini viziose e sbagliate, e le stesse intrappolano i creativi che si sentono spinti (indirettamente) ad emigrare. In ambito politico le comunità chiuse vivono di rendite parassitarie e stimolano l’emigrazione di risorse umane importanti, favorendo un corto circuito sociale vizioso e dannoso per l’economia locale. Laboratori politici costruiti in tal senso, cioè consapevoli di stimolare processi creativi, propositivi e costruttivi dove ci sono momenti di conoscenza e di approfondimento, con modelli sperimentali sui processi di partecipazione, consentirebbero, in breve tempo, a milioni di italiani di diventare cittadini attivi e creativi, socialmente utili per i processi di sviluppo umano delle comunità. Si tratta di un enorme processo creativo che trasforma la società per renderla responsabile e capace di affrontare qualunque problema e risolverlo. Questo tipo di approccio possiede in sé lo scopo di affrontare l’autorealizzazione delle persone attraverso un percorso nuovo, mentre in una società capitalista si creano disuguaglianze, e le opportunità sono concesse prioritariamente a chi  appartiene a una determinata casta di famiglie che vivono di rendite. L’autorealizzazione, oppure eudemonia, è possibile rimuovendo le disuguaglianze e sviluppando la conoscenza in maniera condivisa e cooperativa, e utilizzare il sapere in maniera saggia, per esempio favorendo le persone meritevoli che intendono migliorare la società.

Riconoscere il merito non è difficile, anzi è semplice poiché spesso gli individui che soffrono di invidia sociale isolano e screditano proprio le persone meritevoli attraverso meccanismi delatori usati sin dall’antichità. Una società malata come quella italiana usa direttamente e indirettamente meccanismi sociali di disuguaglianza di riconoscimento per far emergere galoppini e individui dannosi (corrotti moralmente e materialmente), ed anche per questa ragione non sarà difficile riconoscere gli errori di una società decadente come la nostra, sarà “sufficiente” fare l’opposto: favorire meritevoli e capaci.

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