Addio gas

Da molti anni le tecnologie del risparmio energetico hanno raggiunto adeguati livelli di efficienza mentre i prezzi sono diventati sempre più accessibili a tutti. A partire dagli anni ’80 le tecnologie solari sono state in grado di offrire un adeguato risparmio energetico, prime fra tutte nella produzione di acqua calda sanitaria, e poi per la produzione di energia elettrica con i sistemi fotovoltaici, eolici, geotermici. Dopo circa quarantacinque anni di investimenti in ricerca e sviluppo, l’industria presenta sul mercato soluzioni mature ed adeguate. Dal punto di vista della progettazione il risparmio energetico si ottiene intervenendo sull’involucro degli ambienti costruiti per eliminare dispersioni e ponti termici, e poi impiegare le tecnologie alternative a quelle degli idrocarburi, ed oggi abitazioni, uffici e strutture sportive possono godere di questi vantaggi economici arrivando a ridurre drasticamente i costi delle bollette energetiche ed abbandonare il gas per produrre acqua calda sanitaria e cucinare. Oggi il gas è inutile, perché la tecnologia delle pompe di calore è affidabile nel gestire la climatizzazione interna e produrre acqua calda sanitaria, mentre l’impiego di un mix fra solare ed eolico consente di stoccare energia elettrica per cucinare ed alimentare gli elettrodomestici. Questa soluzione è fattibile per singole unità immobiliari, per i condominii, per gli uffici e per gli impianti sportivi.

Gli errori culturali del famigerato 110%: con un provvedimento finanziario sbagliato, il legislatore ha favorito incentivi per un’industria finanziaria fuori controllo come le banche che si sono ricapitalizzate scaricando i costi sullo Stato (deficit), e poi sono stati favoriti interventi tecnologici culturalmente sbagliati poiché il modo migliore per isolare gli edifici è intervenire sullo sfasamento delle pareti perimetrali esterne; in sostanza non è l’impiego del “cappotto” termico la tecnologia migliore per ridurre la domanda di energia ma aumentare la massa, la densità e l’inerzia termica degli elementi: cioè la massa muraria. Non è un errore aggiungere un cappotto esterno ma il legislatore ha favorito una tecnologia impiegata per i climi nordici e più freddi mentre si manifestano gli effetti del cambiamento climatico che fa crescere le temperature medie. Il legislatore ha trascurato la realtà geografica dell’Italia inserita al centro del mediterraneo, e dove, da sempre, gli edifici sono stati costruiti con una massa muraria importante per avere un adeguato sfasamento: freschi d’estate e caldi d’inverno. Nel clima mediterraneo, uno degli inconvenienti dell’isolare con il “sistema a cappotto” è l’aumento delle muffe interne e per prevenirle è necessario climatizzare (aumento della domanda di energia), insomma si realizza una contraddizione. Pareti perimetrali esterne con una massa una corretta massa (solitamente laterizio), e quindi un corretto sfasamento, non necessità di impianti di climatizzazione (ricambio d’aria) per evitare condense e muffe interne.

Dal secondo dopo guerra in poi, si assiste ad un peggioramento progressivo delle tecniche edilizie per soddisfare criteri economici ed ingegneristici: palazzine multipiano con strutture intelaiate in c.a. e tamponature sottili (max 30 cm) con materiali a bassa densità, la combinazione di tali tecniche ha realizzato un enorme patrimonio edilizio di mera di merce scadente sotto tutti i punti di vista. Un’inversione di tendenza si ha solo negli ultimi 15-20 vent’anni con l’impiego di tamponature massive per imitare il comfort termico delle case di pietra.

Per eliminare il gas, riducendo i propri costi, è necessaria la sola volontà di famiglie, gestori di impianti pubblici e dei Sindaci poiché fra tecnologie ed agevolazioni fiscali si possono trovare le soluzioni ai problemi energetici.

In ambito urbano sarà fondamentale progettare e diffondere le tecnologie solari e mini eolico, collegate in isole energetiche (edifici, isolati, quartieri…) con adeguati locali di stoccaggio per l’energia elettrica accumulata, e poi rilasciarla quando serve (la famosa “rete furba”, “smart grid”).

Superare la speculazione energetica

L’attuale speculazione sulle fonti energetiche fossili è un’estrazione di ricchezza finanziaria dai popoli verso le multinazionali che godono di privilegi e potere economico-politico poiché operano in regime di monopolio e/o oligopolio. Nel caso di specie, il prezzo del gas è suggerito da operatori finanziari della borsa di Amsterdam, il TTF (Title Transfer Facility) istituito nel 2003 dove contrattano produttori nazionali ed internazionali, società di stoccaggio ed operatori di rete. La responsabilità politica di questo prelievo forzoso a danno dei ceti economicamente più deboli è di tutta la classe dirigente italiana ed europea, poiché i politicanti, negli ultimi anni, non hanno voluto favorire l’impiego diffuso delle tecnologie alternative per attuare sistemi intelligenti basati sull’autoconsumo e l’autosufficienza energetica al fine di liberare le famiglie da una obsoleta dipendenza energetica fossile. L’attuale speculazione energetica assume il gusto amaro della truffa politica poiché le possibilità tecnologiche sono alla portata di tutti, ed in modo particolare in Italia che gode di una posizione geografica più favorevole per lo sfruttamento delle fonti energetiche alternative. L’Unione europea è figlia della Comunità Economica del Carbone e dell’Acciaio (1951), ed è un progetto geopolitico di egemonia “atlantista”, cioè figlio degli USA che hanno occupato militarmente l’Europa. Sembra che la “guerra del gas” sia una guerra al gas russo affinché i soldi europei vadano nelle tasche delle imprese americane; ma la realtà delle conoscenze tecnologiche ci insegna che è arrivata la fine degli idrocarburi come fonte primaria di energia, e l’assenza di un interesse politico europeo ed italiano produce danni economici ai ceti già deboli, poiché ricattati da un élite eversiva e degenerata che promuove guerre e distruzioni per potere ed avidità.

Le città italiane dovrebbero diventare luoghi di produzione, stoccaggio e distruzione dell’energia per autoconsumo e non per profitto. Questa strategia di sovranità energetica per le famiglie sarebbe dovuta essere realtà già da qualche anno ed il ritardo è una responsabilità del Parlamento, e non perché mancano le tecnologie per realizzarla. Il ceto dirigente politico italiano, invece, ha voluto favorire la vendita di tecnologie piuttosto che favorire reti intelligenti per l’autoconsumo, e consentire alle famiglie di raggiungere l’autosufficienza energetica che significa autonomia energetica senza dipendere da fonti esterne.

La domanda di energia elettrica di un alloggio italiano è di soli 3,3 kWh; ma transitare ad un sistema senza gas significa immaginare di stoccare almeno 8-12 kWh di energia per acqua calda sanitaria, climatizzazione e cucina, e con un consumo che potrebbe oscillare da 22 a 32 kWh al giorno. Se consideriamo anche l’auto elettrica il fabbisogno energetico sarà di gran lunga più alto, ma soprattutto si dovrebbe prevedere un impianto ad hoc per separare i flussi energetici e garantire un’autonomia energetica all’abitazione. Le tecnologie per sfruttare le energie alternative sono mature ed ampiamente presenti sul mercato, mentre la ricerca italiana dovrebbe investire su sistemi di accumulo più efficienti di quelli presenti sul mercato, poiché la transizione dalle fonti fossili a quelle alternative che utilizzano in prevalenza energia elettrica richiedono un forte aumento di kW. Pensiamo alla mobilità elettrica: sul mercato si trovano auto che accumulano anche 72 kW, pertanto l’impatto energetico è rilevante e questo significa che lo stoccaggio di energia non potrà essere soddisfatto solamente da batterie a ioni di litio, ma bisogna puntare a sistemi alternativi come l’idrogeno, ed altri ancora. Alcune imprese private stanno già commercializzando sistemi di stoccaggio alternativi alle batterie con ioni di litio.

L’Italia dovrebbe investire nella produzione innovativa di sistemi di stoccaggio per soddisfare l’interesse generale e realizzare città autosufficienti. Gli incentivi fiscali sono un sostegno economico alle imprese e non favoriscono l’obiettivo della sufficienza energetica che consentirebbe ad un condominio di acquistare efficienti sistemi di produzione e stoccaggio, e detrarre il costo per diventare autonomi ed indipendenti, anzi le agevolazioni consistono in detrazioni vincolate all’immissione in rete che non ha lo scopo di garantire un’autosufficienza per le comunità ma il vantaggio economico per le SpA che gestiscono le infrastrutture e producono energia (ARERA, TERNA, ENEL). Le norme non sono state pensate per realizzare un’autonomia energetica delle famiglie e delle comunità ma per sostenere i produttori nazionali di energia (ARERA, Terna, Enel…). In un vero mercato libero a sostegno della sostenibilità ambientale, le norme dovrebbero favorire progetti di autoconsumo dell’energia sfruttando tutte le tecnologie alternative. L’agevolazione e/o sovvenzione dovrebbe favorire progetti di autonomia ed autosufficienza energetica sfruttando tutte le tecnologie affinché interi edifici, quartieri, intere porzioni di città e città estese possano costruire reti intelligenti per autoconsumo e non per profitto; tutto ciò in Italia non è favorito nonostante sia possibile realizzare una piena sovranità energetica gestita dai cittadini attraverso cooperative e/o società di azionariato diffuso popolare.

Pensiamo ad un esempio concreto: un condominio costruito negli anni ’60 dovrebbe poter dialogare con un istituto finanziario pubblico presentando la domanda di sovvenzione diretta e/o di detrazione tutti i costi relativi alla manutenzione ordinaria e straordinaria ma ciò non è possibile poiché non esiste l’istituto finanziario pubblico, ed il legislatore ha consegnato i cittadini nelle mani di istituti privati burocratizzando e complicando i processi anche con aliquote detrattive differenziate per tipologia di intervento (cui prodest?) e l’installazione congiunta di solare fotovoltaico e mini eolico non è considerata. Il mercato delle ristrutturazioni oggi è stato travolto e condizionato negativamente dal famigerato supebonus110% mettendo a rischio numerose imprese artigiane. Un’analisi diagnostica sulla struttura portante dell’edificio costruito negli anni ’60 potrebbe suggerire la demolizione dell’immobile, ma il legislatore ha trascurato questo enorme problema di sicurezza e non ha previsto nessun incentivo, e tanto meno ha pensato che tali scelte dovrebbero essere fatte in ambito di pianificazione urbanistica, e non nell’ambito della deregolamentazione circa le attività edilizie libere.

Il ceto dirigente dovrebbe imparare a fare una normale programmazione economica abbinata a politiche territoriali ed urbanistiche al fine di condurre le aree urbane e rurale verso l’autosufficienza energetica, mentre il caro bollette per chi non può pagare va semplice sostenuto con le sovvenzioni. Questa guerra economica, come quella precedente della pandemia, non può essere affrontata restando sul piano teologico sbagliato che prevede la crescita del debito pubblico scaricato soprattutto sulle spalle delle famiglie (rischio aumento della fiscalità generale e stretta del patto di stabilità e crescita), il ceto politico dovrebbe avere il coraggio e l’onestà intellettuale di riconoscere il fallimento del capitalismo e programmare l’uscita dall’economia del debito; in primis scorporando e sottraendo l’aumento debito pubblico causato da pandemia e guerra economica poiché non sono il frutto di scelte politiche autonome e sbagliate ma l’aggressione esterna di eventi non voluti. Quell’aumento del debito pubblico va cancellato al fine di tutelare i diritti di tutti e soprattutto dei ceti economicamente già deboli.

Nuove norme per la rigenerazione

Il legislatore, il Governo e la Conferenza Stato-Città hanno aggiornato i propri strumenti normativi (DPCM 21 gen 2021; art.7 bis c.2 D. Lgs 243/2016; c.42 e c.43 art.1 L. 160/2019, D.M. 395/2020) per stimolare interventi chiamati di “rigenerazione urbana”, e lo fanno stanziando somme programmate nel corso degli anni fino al 2034 e invitando i Comuni (con popolazione sup. ai 15mila ab.) a presentare progetti che un’Alta Commissione per la qualità dell’abitare (c.439 art.1 L.160/2019) valuterà, e stabilendo criteri, priorità, obiettivi e modalità di finanziamento. Il DPCM del 21 gen 2021 (Assegnazione ai Comuni di contributi per la rigenerazione urbana, G.U. n. 56 del 6 marzo 2021) individua ambiti di ammissibilità degli interventi (opere pubbliche…) criteri (ridurre i fenomeni di marginalità…), e il monitoraggio di effettivo utilizzo (D. Lgs. 229/2011) delle risorse da destinare prioritariamente ai Comuni che abbiano nel proprio territorio una densità maggiore di popolazione caratterizzata da condizioni di vulnerabilità sociale e materiale, con conseguenti fenomeni di marginalizzazione e degrado sociale. I contributi previsti sono concessi per singole opere pubbliche o insiemi coordinati di interventi pubblici anche ricompresi nell’elenco delle opere incompiute, volti a ridurre la marginalità sociale e migliorare la qualità del decoro urbano, a sottolineare la priorità pubblicistica dei progetti da presentare. Gli interventi riguardano: a) manutenzione per il riuso e la rifunzionalizzazione di aree pubbliche e di strutture edilizie esistenti pubbliche per finalità di interesse pubblico…; b) miglioramento della qualità del decoro urbano e del tessuto sociale e ambientale, anche mediante interventi di ristrutturazione edilizia di immobili pubblici… c) mobilità sostenibile.

Per la rigenerazione urbana il c.42 art.1 L.160/2019 programma investimenti crescenti dal 2021 fino al 2034: solo 150 milioni nel 2021, poi 250 milioni per l’anno 2022; 550 milioni per gli anni 2023 e 2024, e poi 700 milioni per ciascuno degli anni successivi 2025 fino al 2034. Questa programmazione è stata bocciata dalla Ragioneria dello Stato poiché priva di coperture; nel documento si evidenziano “numerosi errori nella numerazione dei commi di molte disposizioni” e si rimarca che “il testo del ddl prevede, nell’ambito dei processi di rigenerazione urbana, molteplici interventi, diverse norme onerose o suscettibili di determinare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, ovvero minori entrate, nella maggior parte dei casi non quantificate”.

L’art.8 del DM 395/2020 (Procedure per la presentazione delle proposte, i criteri per la valutazione e la modalità di erogazione dei finanziamenti per l’attuazione del “Programma innovativo nazionale per la qualità dell’abitare”) individua criteri per la valutazione delle proposte: a) qualità della proposta e coerenza con le finalità di cui al c. 437 art.1 L. 160/2019 (riduzione del disagio abitativo con particolare riferimento alle periferie), capacità di sviluppare risposte alle esigenze/bisogni espressi…; b) entità degli interventi relativamente agli immobili ERP, con preferenza alle aree con maggiore tensione abitativa…; c) recupero e valorizzazione dei beni culturali, ambientali e paesaggistici ovvero recupero e riuso di testimonianze architettoniche significative…; d) risultato del “bilancio zero” del consumo di suolo; e) attivazione di risorse finanziarie pubbliche e private; f) coinvolgimento di operatori privati, anche del Terzo Settore, con particolare coinvolgimento e partecipazione diretta di soggetti interessati…; g) BIM. Le finalità del c. 437 art.1 L. 160/2019 sono: «riqualificare   e incrementare  il  patrimonio  destinato   all’edilizia   residenziale sociale, a rigenerare  il  tessuto  socio-economico,  a  incrementare l’accessibilità, la sicurezza dei luoghi e  la  rifunzionalizzazione di spazi e  immobili  pubblici,  nonché  a  migliorare  la  coesione sociale e la qualità della  vita  dei  cittadini,  in  un’ottica  di sostenibilità e densificazione,  senza  consumo  di  nuovo  suolo  e secondo i principi e  gli  indirizzi  adottati  dall’Unione  europea, secondo il modello urbano  della  città  intelligente,  inclusiva  e sostenibile (Smart City)».

Il combinato disposto di tali norme ci consente di affermare che tali provvedimenti indubbiamente interessanti, mostrano un approccio culturale ancora distante dalle consuetudini europee (città e bellezza, povertà, case e quartieri), ma mostrano un’intenzione di assegnare somme per ridurre i divari territoriali, ad esempio utilizzando valutazioni ex-post caratterizzate da criteri di sostenibilità e misurando l’Indice di Vulnerabilità Sociale e Materiale (IVSM). Ancora una volta, si vuole porre l’accento sul fatto che i piani regolatori generali dovrebbero esser fatti bene, ad esempio rinnovando l’obbligo agli Amministratori locali di applicare il notissimo DM 1444/68 che vincola Sindaci e Consiglieri comunali a costruire gli standard minimi definiti da queste norme anche “equipaggiamento urbano-locale” [se manca va realizzato], oltreché contenere il carico urbanistico nei tessuti urbani esistenti [si intende ridurre l’affollamento urbano]. L’obiettivo dichiarato è favorire il miglioramento delle condizioni ambientali e sociali degli abitanti attraverso interventi sostenibili. Per intervenire all’interno delle zone consolidate, sarebbe saggio adottare un corretto approccio culturale per studiare le strutture urbane esistenti, riconoscendone la forma.

In Italia, diversamente dal resto d’Europa, manca ancora un’organica e matura riforma nazionale circa il corretto il governo del territorio, che conduce i responsabili politici verso una gestione razionale delle risorse limitate, ad esempio ribadendo un concetto tanto semplice quanto ignorato: il territorio non è una merce, mentre l’urbanistica nacque per costruire diritti a tutti gli abitanti e non a regalare rendite parassitarie agli investitori. Questo è il nodo principale che ha costruito i divari territoriali che si intendono rimuovere.

I progetti, prevalentemente di carattere pubblicistico, dovranno esser capaci di affrontare i problemi di marginalità e degrado sociale, con interventi di riuso e rifunzionalizzazione di edifici e strutture edilizie esistenti, anche realizzando servizi culturali, educativi e didattici, e migliorando l’accessibilità esistente dei centri urbani (art.3 DPCM 21 gen 2021).

Gli interventi e le misure dovranno mirare a soluzioni durevoli per la rigenerazione del tessuto socio-economico, il miglioramento della coesione sociale, l’arricchimento culturale, la qualità dei manufatti, dei luoghi e della vita dei cittadini, in un’ottica di innovazione e sostenibilità, con particolare attenzione a quella economica e ambientale, senza consumo di nuovo suolo (art.2 DM 395/2020).

Sono tutte aspettative e obiettivi condivisibili che possono essere perseguiti con maggiore efficacia riformando il regime giuridico dei suoli, come suggerì l’allora Ministro Fiorentino Sullo. Le disuguaglianze territoriali che si vogliono rimuovere furono costruite dall’approccio culturale prevalente di allora: il liberalismo, che è lo stesso di oggi degenerato in processi di “urbanistica contrattata” per offrire ai privati facili guadagni e trascurando i problemi urbani esistenti. L’attuale regime giuridico dei suoli consente l’egoismo dei pochi, poiché le aree sono considerate merce da comprare e vendere ove poter costruire rendite immobiliari attraverso una scelta politica, cioè senza merito. La consuetudine viziosa prevalente di Sindaci e Consigli comunali, è quella di favore prioritariamente gli interessi privati: le rendite. Oggi, lo stesso ceto politico dominante dovrebbe cambiare gestione del territorio per affermare l’interesse generale. L’obiettivo dichiarata di contrastare la disuguaglianza territoriale è pianificata poiché il Titolo V della Costituzione ha attuato il famigerato federalismo ed è stato il grimaldello per assicurare maggiori risorse al Nord a danno del Sud, insieme alla consuetudine viziosa di mercificare i suoli e consentire ai ceti borghesi locali di poter realizzare ambiti urbani diseguali. La pianificazione urbanistica, essendo di competenza regionale fra Lombardia, Toscana, Umbria, Emilia-Romagna e Campania accade che si realizza in maniera profondamente diversa, e così si sono costruiti diritti e servizi diseguali realizzando quell’immorale divario economico e sociale documentato dall’ISTAT. La responsabilità della disuguaglianza non è solo del legislatore che distribuisce male le risorse di tutti, favorendo il Nord, ma anche del ceto politico meridionale che approva “piani” fatti mali inducendo una parte dei propri abitanti ad emigrare per trovare condizioni di vita più dignitose.

Numerosi politici locali hanno mostrato e dimostrato come non si pianificano i territori poiché questo ceto politico, spesso, o non ha adottato piani regolatori generali (in Campania solo il 13% dei Comuni – 71 su 550 – hanno un PUC vigente, secondo un’indagine svolta dall’ANCE nel 2017, altri hanno strumenti obsoleti; e infine ben 184 Comuni non hanno alcuna elaborazione di piano), oppure ha compiuto scelte sbagliate e stupide. Nei casi di adozione dei piani, questi strumenti spesso sono influenzati da scelte privatistiche che contrastano o trascurano l’interesse generale.

Il nuovo Ministero MIMS (Ministero delle Infrastruttura e della Mobilità sostenibili) pubblica le linee programmatiche e dichiara che il Mezzogiorno costituisce una priorità per l’azione del Governo: quindi, il PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) prevede che il 47% dei fondi sia destinato a progetti a favore di questa area territoriale. In realtà al Sud spetta il 70% delle risorse, secondo i criteri di ripartizione condivisi dall’UE e non il 47%, e ciò produce un danno economico e sociale che conserva i divari territoriali. La bozza del PNRR assegna al MIMS risorse per 48 mld di euro, di cui 32 aggiuntivi. Le assegnazioni riguardano: Missione 2 rivoluzione verde e transizione ecologica: 13,2 mld; Missione 3 infrastrutture per una mobilità sostenibile: 32 mld; Missione 5 infrastrutture sociali, famiglie, comunità e terzo settore: 2,8 mld. Inoltre, il MIMS scrive «le città rappresentano il punto di caduta di tutte le dinamiche territoriali e delle sfide aperte dalla crisi economica e pandemica. […] E’ necessario un ripensamento delle città in funzione di una maggiore presenza di servizi e la pianificazione urbanistica deve divenire strumentale ai bisogni della popolazione, dedicando attenzione ai contesti territoriali sui quali si intende intervenire e avendo come obiettivo il miglioramento della qualità di vita e di lavoro dei cittadini». Si tratta di una considerazione diplomatica utile a ricordare agli Amministratori locali che bisogna fare bene piani e progetti riducendo le disuguaglianze create da una gestione speculativa del territorio.

Cosa servirebbe all’Italia per realizzare programmi, piani e progetti di rigenerazione urbana? Prima di tutto ammettere e riconoscere il fallimento della gestione politica dei Comuni e delle Regioni, poiché la corretta gestione del territorio si è realizzata solo in alcune aree italiane, e che persino in queste, dopo tanti anni di teologia liberista, il buon governo sta cedendo sotto i colpi di un decadimento morale e sotto i colpi dell’avidità (speculazioni edilizie), nella migliore delle ipotesi, mentre la corruzione endemica contribuisce a creare le disuguaglianze economiche e sociali, oltreché danni ambientali.

Il fenomeno urbano italiano è complesso e richiede una nuova gestione del territorio, sotto il profilo politico amministrativo, favorendo sia un cambio di scala e sia un salto culturale, oltreché tecnico-gestionale. Gli ambiti territoriali da pianificare sono i Sistemi Locali del Lavoro poiché entro questi insistono le nuove strutture urbane estese, costruite sui bacini idrografici. Ad esempio, le recenti norme suggeriscono di adottare soluzioni “Nature Based” (ottimo consiglio) che da un punto di visto tecnico è un’aberrazione, se parliamo di piani regolatori generali, poiché un progetto adeguato che vuole realizzare infrastrutture verdi va pensato osservando gli ambiti idrografici (I Piani di Bacino), quindi ben al di fuori degli attuali confini amministrativi, ormai obsoleti.  

Per realizzare seriamente gli interventi previsti bisogna imparare dalle migliori esperienze europee, ove non si immaginano speculazioni organizzate a tavolino, ove non esiste l’abusivismo edilizio e dove la natura pubblicistica dei piani è garantita da strumenti tecnico-giuridici come l’esproprio e il diritto di superficie, tutti strumenti rinnegati dagli italiani al fine di concentrare profitti nelle mani private degli investitori. Nel resto d’Europa gli investitori non sono messi nelle condizioni di influenzare negativamente il disegno urbano, anzi è l’esatto contrario cioè i piani creano le condizioni di sviluppo per tutti, e gli investitori sono regolarmente tassati, anche e soprattutto sulle rendite immobiliari ma investono ugualmente poiché non potrebbero fare diversamente, e perché piani e progetti hanno virtù compositive: qualità architettonica ed urbanistica garantendo anche la sostenibilità economica.

Le Amministrazioni che riconoscono la validità culturale di questi recenti indirizzi, e che sapranno ingaggiare i tecnici capaci (piani e progetti fatti bene), potranno cogliere le opportunità di sviluppo umano suggerite dai recenti provvedimenti. L’approccio bioeconomico che propongo è più maturo ed avanzato rispetto agli indirizzi inseriti nelle norme, ma ciò non toglie che un ceto politico illuminato potrà fare sempre meglio, e avviare un percorso di miglioramento che saprà dare un serio contributo per far uscire la propria comunità dalla marginalità economica e sociale in cui riversa.

Secondo le nuove norme ai Comuni che rientrano nella struttura urbana salernitana estesa, e che presenteranno progetti rispettando i criteri prestabiliti, potrebbero essere assegnati: 20 mln a Salerno; 10 mln a Battipaglia; 5 mln a Baronissi; 5 mln a Pontecagnano Faiano; 5 mln a M.S.Severino. Le risorse finanziarie promesse sono indubbiamente insufficienti per soddisfare i bisogni di queste comunità ma potrebbero rappresentare parti di un unico piano strategico che costruisce adeguati piani di rigenerazione urbana, e potrebbero essere aggiungente ai progetti di mobilità sostenibile gestiti dal MIMS. Prima di tutto, serve un piano secondo l’approccio bioeconomico.

Si può fare domani mattina …

Dal 1984 l’alloggio di famiglia posto in un condominio di edilizia economica e popolare fu ristrutturato applicando la filosofia che oggi chiamiamo sostenibilità e/o decrescita felice. Prima di tutto, la “scala” ebbe il “cappotto” ed i doppi infissi (non esistevano ancora gli infissi con “vetro camera”). L’alloggio fu dotato di impianto solare termico per produrre acqua calda sanitaria e ridurre il consumo di gas (e in quegli anni il solare fotovoltaico era ancora sperimentale). Tutto ciò senza incentivi fiscali e senza obblighi normativi, ma per un motivo che può cogliere anche un bambino: risparmiare soldi sulla bolletta energetica. E’ questo lo spirito che ci convinse allora, ridurre gli sprechi adottando alcune tecnologie e tecniche costruttive degli anni ’80 poiché avremmo avuto un risparmio economico. La prima legge sul risparmio energetico è del 1991, ma noi prima di questa norma ci siamo mossi poiché in architettura si è sempre saputo come costruire per risparmiare, e così prendemmo la decisione di migliorare il nostro condominio apponendo lavori di efficientamento energetico.

Devo anche riconoscere che nessun altro vicino di casa seguì il nostro modello virtuoso. In questa considerazione si sintetizza tutta l’inerzia culturale che rallenta la nostra evoluzione, il problema è tutto qua. Noi siamo il problema e noi siamo la soluzione.

La normativa di oggi è ricca di spunti, incentivi e riferimenti al risparmio energetico. Le tecnologie sul mercato sono ampiamente mature e diffuse, e i cittadini fanno ancora fatica a cogliere opportunità straordinarie; e mi riferisco soprattutto all’edilizia esistente, poiché per quella di nuova costruzione la progettazione ha l’obbligo di risparmiare energia e di sfruttare le fonti alternative.

Domani mattina, qualunque condomino può pensare di fare meglio del nostro esempio del 1984, e addirittura, sfruttando un mix tecnologico oggi è possibile che più edifici possano diventare produttori e consumatori di energia arrivando a cancellare la dipendenza dagli idrocarburi.

Anche i problemi economici sono superabili attraverso sistemi finanziari che intervengono per integrare le quote dei condomini con difficoltà economiche. Da molti anni esiste il sistema delle Esco, che si ripaga i costi dell’intervento incassando i soldi delle utenze che una volta pagavano la bolletta energetica derivata dagli sprechi.

Un intervento più conveniente e interessante è la rigenerazione urbana dell’esistente, che non si limita al mero risparmio energetico, ma cerca di migliorare l’ambiente urbano esistente, ed anche in questo intervento i cittadini possono fare la differenza diventando committenti della trasformazione urbana attraverso la forma giuridica della cooperativa che previene le speculazioni. E’ diritto dei cittadini proporre alla propria Amministrazione interventi di rigenerazione, e persino suggerire modifiche ai piani vigenti da sottoporre all’attenzione del Consiglio comunale. Questa tipologia di approcci e di interventi non è affatto nuova, ed è accaduto spesso che i cittadini si siano coordinati per progettare luoghi urbani, la novità sarebbe nell’interpretare correttamente l’approccio bioeconomico, che come nell’episodio di famiglia del 1984 si pone un obiettivo virtuoso che non coincide col profitto ma con l’uso razionale dell’energia, e nel caso della rigenerazione la creazione, persino, di nuova occupazione attraverso nuovi servizi e nuova economia locale. Non sarebbe cosa da poco ricominciare a fare architettura, che significa usare l’arte del costruire per interventi che abbiano un senso per la specie umana e non più per lo stupido mercato. Si tratta, finalmente, di riprendersi la democrazia tornando a discutere di polis e dei nostri rapporti, ricominciando dal senso di comunità.

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Aggiustare le città/3

La scelta politica di aderire alla deregolamentazione della globalizzazione neoliberista ha influenzato le scelte localizzative  del capitale, condizionando la società nel suo insieme, l’educazione della persone, i contenuti ed i linguaggi dei media tradizionali e dei social-media che hanno un peso determinante nell’economia, e trasformando radicalmente i nostri territori urbani. Circa 26 città, tutte le principali (Roma, Milano, Napoli, Torino …) sono in contrazione, cioè hanno perso abitanti poiché le imprese hanno abbandonato gli spazi produttivi per delocalizzare, ciò ha fatto contrarre i comuni centroidi favorendo la mobilità delle famiglie in cerca di alloggi più convenienti, solitamente nei comuni viciniori. La motivazione principale della contrazione dei centri principali (comuni centroidi dei Sistemi Locali del Lavoro) è da ricercarsi nel capitalismo, nel senso più ampio del termine, dalla deindustrializzazione alla rendita immobiliare, ma secondo lo scrivente c’è anche una ragione poco indagata: la scelta politica di lasciar fare al famigerato mercato rinunciando alla disciplina urbanistica ed alla pianificazione facendo pochi investimenti pubblici e privati nel Sud e senza intervenire per proporre nuove attività nelle aree abbandonate. Una caratteristica italiana della teologia capitalista è la rinuncia delle istituzioni pubbliche al proprio ruolo attivo nel famigerato mercato, sia rinunciando ad una corretta programmazione e pianificazione, e sia al ruolo attivo di coordinamento e di impulso attivo per ridurre le disuguaglianze e creare funzioni ed attività per favorire un corretto sviluppo umano su tutto il territorio italiano. Un ruolo attivo e propositivo delle istituzioni pubbliche si verifica solo in pianura padana, ed in altre Regione centrali.

Da un punto di vista socio economico, i ceti meno abbienti sono stati espulsi da politiche urbane capitaliste attraverso un lento ma efficace sistema di mercato che ha costretto le famiglie a trasferirsi, poiché non riuscendo a sostenere i prezzi richiesti dal mercato hanno preferito spostarsi. Governi e Parlamento, ormai da decenni, sia rinunciando alla sovranità monetaria e sia rinunciando al proprio ruolo hanno scelto di uscire dal mercato delle politiche urbane per favorire un ruolo attivo dei privati applicando la religione dell’economia neoclassica: credere di poter mantenere e realizzare servizi pubblici illudendosi di far pagare i costi al mercato senza strumenti efficaci come il recupero dei plusvalori fondiari ed immobiliari dettati dalle trasformazioni urbanistiche. Le istituzioni pubbliche italiane scelgono la teologia liberale facendo credere che gli investitori privati siano mossi da spirito altruistico e non dall’egoismo, confondendo concetti come: valore, prezzo e costo; e confondendo concetti come beni e merci. Un bene è qualcosa che ha valore in se, non è detto che debba essere comprato o venduto (merce). Due o più edifici possono scambiarsi energia auto prodotta attraverso un mix tecnologico sfruttando fonti alternative (un bene), e possono farlo senza apporre un prezzo (merce). Il problema italiano è determinato dal fatto che gli Enti pubblici non vogliono regolare adeguatamente il regime giuridico dei suoli per consentire efficacemente la costruzione della “città pubblica” tassando correttamente le trasformazioni urbanistiche. In Italia, generalmente, circa le scelte dei piani urbanistici espresse per scelta politica si determinano favoritismi ai soggetti privati senza recuperare efficacemente benefici per collettività, tutto ciò è demandato al buon cuore degli amministratori politici locali.

Dal punto di vista ambientale, il territorio, nostra fonte di vita (un bene), è stato letteralmente distrutto poiché mercificato, occupato dal cemento e da grandi infrastrutture per favorire la mobilità privata e il profitto dei privati, rappresentato da centri commerciali ed edilizia privata. Gli abitanti sono stati costretti a consumare di più poiché devono spostarsi percorrendo molti più chilometri, e così si forma la cosiddetta “città regione”, secondo l’Istat individuata all’interno del cosiddetto “sistema locale”.

La religione capitalista trasforma la città da “luogo sociale” in “spazio merce“, e i “cittadini” si trasformano in “consumatori. Questo processo avviene aderendo alla teologia capitalista e con la psico programmazione: prima a scuola, poi nelle università, ed propagandata attraverso i social media. Le classi dirigenti sono automi addomesticati dal pensiero unico dominante che esprime il nichilismo di mercato anche nei piani urbanistici caratterizzati dalla prevalenza degli interessi privati particolari, come sommatoria e sintesi di progetti costruiti sulla rendita e la speculazione edilizia. La Costituzione che ha principi sociali e liberali soccombe sotto l’inerzia delle classi dirigenti politiche, incapaci di far applicare i valori di uguaglianza e libertà. La cattiva costruzione di città mercificate è contro la disciplina urbanistica ed anche contro la legge urbanistica nazionale che lega la pianificazione al corretto uso del territorio e all’interesse generale. La condotta e le scelte politiche dei neoliberali ha successo poiché le loro scelto camminano sul sottile filo della Costituzione stessa che costruisce i rapporti forgiati nel mercato, ma questi rapporti devono rispettare l’utilità sociale (che spesso manca) e l’interesse generale. I piani adottati dalle Amministrazioni comunali spesso fanno prevalere l’interesse degli investitori privati che hanno l’obiettivo di tornaconto personale a danno della collettività.

E’ la contraddizione culturale e politica dell’epoca chiamata antropocene, quella di dichiarare di voler coniugare socialismo e capitalismo, ma ha prevalso quest’ultimo mettendo a rischio l’esistenza della specie umana, e solo per sostenere la stupidità e l’avidità di una piccola casta di famiglie, chiamata élite. Ritroviamo tutto nel pensiero economico occidentale, costruito da Adam Smith e Karl Marx. E’ evidente che la globalizzazione liberale poggia sui pilastri di Smith, ma ciò che bisogna ammettere, è che dobbiamo uscire da quest’epoca se vogliamo sopravvivere a noi stessi.

Possiamo partire proprio dai sistemi locali pensati come luoghi urbani metabolici. Partendo dalla bioeconomia possiamo individuare obiettivi di sostenibilità e adottare criteri e indicatori per misurare flussi di energia in entrata e in uscita. Si tratta di fare l’opposto di quello fatto finora e quindi pianificare i sistemi locali per tutelare le risorse finite, trattando il territorio come un bene e non più come una merce. Anziché sfruttare la rendita per favorire i privati, è necessario che lo Stato, attraverso i propri Comuni adotti un’agenda urbana per stimolare la nascita di piani di recupero dell’esistente e di riqualificazione urbana.

Fino ad oggi Governi e Parlamenti succedutisi, entrando nel sistema euro, si sono castrati, facendo danno ai propri cittadini, pertanto è necessario che la classe politica esca dalla stupidità di un sistema dannoso per abbracciare la teoria endogena della moneta finanziando direttamente interventi bioeconomici: prevenzione del rischio idrogeologico, prevenzione del rischio sismico, conservazione dei centri storici e rigenerazione urbana delle periferie. Il motivo per uscire dall’economia del debito ed entrare nella teoria endogena è banale, gli interventi che servono allo Stato, cioè interventi che hanno un valore in se, sono un bene poiché forgiati nell’utilità sociale e non sono idonei per la stupida economia neoclassica poiché non generano profitti. Come può generare profitto la trasmissione del sapere? Come può generare profitto accudire i propri figli? Lo stesso vale per interventi atti a prevenire il rischio sismico degli edifici arrivati a fine ciclo vita.

Nel corso degli ultimi decenni la religione capitalista ha trasferito ricchezza prelevando anche dal risparmio delle masse di famiglie, e indirizzandola verso l’élite (banche, grandi imprese), tutto ciò mentre la classe politica, ascoltando i consigli dei neoliberali, ha introdotto l’uso del diritto privato in ambito pubblico, di fatto privatizzando il processo decisionale della politica (assenza di trasparenza), ha favorito e sostenuto le rendite di posizione, ha favorito le delocalizzazione industriali, ha favorito le speculazioni urbanistiche, ha aumentato la pressione fiscale ai salariati e ai liberi professionisti, ha ridotto progressivamente il potere d’acquisto degli stipendi salariati, e così tutto ciò ha prodotto una società peggiore di quella precedente, togliendo opportunità di vita alle attuali generazioni rispetto a quelle precedenti (anni ’60 e ’70). La psico programmazione mediatica spinge le famiglie a spendere il proprio salario per merci superflue. Se fossimo amministrati da una classe politica civile e responsabile, Governi e Parlamento, adotterebbe un’agenda urbana per prevenire i danni, che logicamente dobbiamo attenderci per il naturale ciclo vita degli ambienti costruiti. La maggioranza delle famiglie italiane non ha la capacità economica per affrontare i costi delle rigenerazioni necessarie che rappresentano un bene e non merci. Grazie a questa fragilità economica i liberali ricattano le comunità, ma al mercato non interessa promuovere rigenerazioni urbane bioeconomiche; anzi sta programmando e realizzando rigenerazioni per espellere altri ceti meno abbienti dai centri urbani e per conquistare spazi di mercato, cioè per conquistare merci. E’ questo il concetto che sta dietro il nichilismo urbano dettato dalla religione capitalista: tutto è merce; il territorio è merce, le superfici da costruire sono merce, le trasformazioni urbane sono merce, le persone sono merce.

Un piano regolatore generale bioeconomico è costruito su altri presupposti: analisi urbana e morfologica dell’esistente, conservazione, ecologia urbana, efficienza energetica, partecipazione attiva ma suggerendo le trasformazioni possibili, considerando ovviamente i principi della legge urbanista nazionale e gli standard, ma soprattutto i bisogni reali delle persone (non i capricci) e non il tornaconto degli investitori privati. Con questo approccio è possibile pianificare i sistemi locali, attraverso piani intercomunali ed è necessario farlo per eliminare gli sprechi che si consumano in questi territori.

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Energia, si può fare!

In letteratura esiste una sterminata documentazione che può informare e formare qualunque persona interessata e curiosa che intende farsi un’idea circa l’uso razionale dell’energia. A partire dai libri scolastici sulla termodinamica fino ai corsi universitari. Nelle biblioteche c’è tutto!

Il concetto di risparmio energetico si basa su due aspetti: la banale riduzione della domanda di energia e l’uso di fonti alternative (sole, vento…), ed entrambi dipendono dal progetto.

In Italia la prima legge sul risparmio energetico è stata la n.10/91, rimasta inapplicata per anni. Oggi siamo giunti alle norme nZEB (Nearly Zero Energy Building) per gli edifici a energia quasi zero. Per l’energia basta poco. Ciò vuol dire che esistono leggi e norme che favoriscono il risparmio energetico mentre tutta la progettazione è orientata dall’uso razionale dell’energia. Perché norme e incentivi non producono un effetto soddisfacente? La maggioranza degli italiani soffre di ignoranza funzionale e di ritorno e non comprende l’utilità del risparmio energetico. Da molti anni esistono persino le detrazioni fiscali. Una condizione economica che aggrava il risparmio è senza dubbio l’aumento della povertà diffusa che impedisce le ristrutturazioni edilizie. Gli aspetti pratici si complicano molto nei condomini poiché le condizioni economiche dei ceti meno abbienti, la perdita del lavoro, impediscono qualunque ragionevole soluzione. Infine, non esiste un reale interesse nell’applicare il risparmio energetico poiché le aziende locali fornitrici di energia guadagnano attraverso gli sprechi.

Il legislatore dovrebbe predisporre un fondo rotativo per aiutare le famiglie povere che vivono nelle palazzine a sostegno di quei condomini che presentano interventi di adeguamento e miglioramento sismico e qualificazione energetica.

La sostenibilità in edilizia è determinata dalla progettazione che disegna un involucro dell’edificio capace di garantire il comfort degli spazi interni con l’impiego di materiali a basso impatto ambientale. La progettazione deve tener presente i principi di eco-efficienza e di sufficienza energetica. Negli edifici esistenti si predispone la diagnosi energetica per misurare il reale fabbisogno. Allo stato attuale dei flussi energetici è importante ridurre la domanda di energia da fonte fossile (petrolio e gas) perché esistono sprechi evitabili con l’impiego di diversi “accorgimenti” e l’impiego di nuove tecnologie. L’eco-efficienza e la sufficienza energetica si raggiungono adeguando l’involucro dell’edificio ai nuovi standard che prescrivono la riduzione degli sprechi. Facendo manutenzione degli edifici esistenti è possibile ridurre la domanda di energia impiegando tecnologie che sfruttano le fonti alternative, raggiungendo due obiettivi: migliore comfort abitativo e cancellazione degli sprechi conseguendo un risparmio economico.

Come si evince dai digramma dei flussi di energia dell’IEA, l’Italia dipende dagli idrocarburi e il dovere delle istituzioni è ridurre drasticamente tale dipendenza attraverso politiche industriali e strumenti finanziari ad hoc. Le motivazioni sono banali, gli idrocarburi sono fonti non rinnovabili, oltre che inquinanti e con scarsa capacità di produrre occupazione utile rispetto all’indotto delle fonti energetiche alternative che possiedono anche la virtù di non inquinare durante il loro esercizio.

 

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Italia, bilancio energetico, fonte IEA.

 

 

IEA usi finali Italia energia
Italia, usi finali, fonte IEA.

Dal diagramma degli usi finali si osserva che una buona parte degli idrocarburi è impiegata nei trasporti e negli edifici. L’aspetto “curioso” è che sia nei trasporti e sia per gli edifici, da anni, le tecnologie per migliorare l’impiego finale ci sono. L’inerzia politica che conserva la dipendenza energetica dagli idrocarburi produce danni economici.

Gli edifici potrebbero diventare persino piccole centrali di energia, e messe in rete rappresentano una grande centrale realizzando in maniera efficace la cosiddetta rete distribuita.

E’ un interesse pubblico primario programmare l’auto sufficienza energetica, conservare la dipendenza dagli idrocarburi è un interesse privato delle imprese e rappresenta un danno economico per il Paese e per i cittadini, che pagano inutilmente una dipendenza resa obsoleta grazie all’innovazione tecnologica, che attraverso l’impiego di un mix tecnologie ci rende liberi da poteri privati sovranazionali.

Età degli edifici e consumi energetici

 

Conversione ecologica

Uno dei punti del programma politico di Podemos è la cosiddetta “conversione ecologica“, un tema recente per il mondo dei politici, ma ben conosciuto nell’ambito accademico, culturale e persino industriale. Il tema affonda le proprie radici e la propria ragione di essere nelle applicazioni e nelle trasformazioni della produzione industriale di merci; sin dal dopo guerra la crescita ha aumentato la produzione del cosiddetto prodotto interno lordo in tutti i paesi occidentali, e questo aumento ha fatto corrispondere un aumento dell’occupazione dagli anni ’50 fino agli anni ’80, e poi con l’informatica, le nuove tecnologie e l’impiego dei robot una crescente riduzione degli occupati, ma una continua crescita della produzione di merci. Dagli anni ’80 la crescita non sempre è coincisa con una migliore qualità della vita, anzi la globalizzazione ha sostenuto e incentivato la delocalizzazione delle produzioni industriali facendo ridurre ulteriormente il numero degli occupati. Mentre accadeva tutto ciò Nicholas Georgescu-Roegen dimostrava con precisione matematica tutto l’impianto truffaldino dell’economia neoclassica, precedentemente criticato da Keynes, Daly, Schumpeter e Marshall. In ambito intellettuale anche i non economisti prefiguravano il fallimento della modernità, Illich, Mumford, Pasolini, prendendo spunto da riflessioni di Aristotele, Platone, Heidegger, Weber, Sombart, Arendt.

Georgescu-Roegen Produzione fondi-flussi
Georgescu-Roegen, produzione fondi-flussi

Georgescu-Roegen correggendo la funzione della produzione prefigurava la bioeconomia e la conseguente decrescita selettiva delle produzioni inutili, proponendo di ristabilire l’equilibrio ecologico con l’analisi dei flussi di energia e materia, abbinata all’etica delle scelte politiche.

Una vera e sincera conversione ecologica dell’attuale modello è possibile solo uscendo dal capitalismo e dagli obsoleti paradigmi dell’economia neoclassica che ignora l’entropia, detesta la democrazia e rinnega l’etica. Il fatto che gli odierni livelli di produzione delle merci, dettati dagli interessi del WTO e assecondati dagli stati occidentali, siano insostenibili e dannosi per la sopravvivenza umana, è ormai, credo, una concezione data per scontata, anche per coloro i quali che affermano il contrario, ma lo fanno poiché sono i prezzolati sostenitori dello status quo. E’ ragionevole credere che sia meno scontato il fatto che bisogna uscire dal capitalismo per arrestare l’autodistruzione e transitare in un’epoca nuova.

La buona notizia è che alcuni ambiti industriali hanno investito nella bioeconomia, altri lo stano facendo anche nella chimica (uscendo dalla chimica petrolifera) e nell’agricoltura per tornare ai ritmi della natura; e persino uno dei settori più impattanti, quello delle costruzioni, possiede conoscenze avanzate e consolidate per avviare una conversione ecologica, garantendo persino la sufficienza energetica di tutto l’ambiente costruito applicando l’uso razionale dell’energia, la rigenerazione urbana figlia della “sostenibilità forte”, e con l’impiego di un mix tecnologico. L’ostacolo a questa ambizione è la corruzione, l’arroganza e l’ignoranza dei politici, il legislatore, e settori di imprese e banche che sostengono l’economia del debito e l’esclusiva dipendenza dagli idrocarburi. Un altro ambito virtuoso è il mondo del riuso e del riciclo totale, così come la mobilità intelligente, e sono tutti rallentati, osteggiati dalle ragioni sopra accennate ed ampiamente note alla cittadinanza, ahimé poco consapevole dell’opportunità di transitare fuori dal capitalismo e dentro la bioeconomica, che crea nuova occupazione utile.

Podemos e Syriza hanno l’opportunità di approfondire e presentare un progetto di bioeconomia per l’Europa e per i propri paesi affrontando e risolvendo, con un unico approccio culturale, tre problemi atavici della modernità: lavoro, ambiente e democrazia.

Dibattito sulla bioeconomia

Come direbbe Socrate questa società costruisce la sua realtà basandosi sulle opinioni e non sulla ricerca della verità. Le opinioni politiche espresse su facebook e twitter sono le verità dei politici che rimbalzando nei media diventano la neolingua che scrive nelle menti dei cittadini apatici e nichilisti. Se i cittadini si rifiutassero di seguire questi slogan, e come insegna Socrate andassero alla ricerca della verità tutto il teatro politico si scioglierebbe come neve al Sole.

Nell’attuale panorama politico è di moda ritenere che le parole destra e sinistra siano obsolete, ma questa moda transitoria, come tutte le mode, rientra nel processo involutivo e regressivo degli individui, e serve a nascondere la verità per fini elettoralistici, per svuotare le persone di una propria identità culturale e storica; è più facile addomesticare un individuo senza una conoscenza storica. E’ sufficiente notare che nella sostanza la maggioranza degli italiani, quando è chiamata ad esprimere scelte politiche sugli argomenti, compie scelte di sinistra (referendum 12-13 giugno 2011, 25.216.418 votanti per i SI) e non potrebbe essere altrimenti, dato che il neoliberismo è il pensiero criminale predominate all’interno dell’UE per sostenere e favorire le multinazionali che orientano e possiedono i burocratici europei e persino pezzi dei Governi nazionali. Per intenderci meglio cito un esempio pratico: oggi emergono sempre più spesso proposte concrete per cambiare gli stili di vita, ma queste proposte rientrano tutte nelle idee utopiste dell’Ottocento scritte, e costruite dai movimenti socialisti che si contrapponevano alle condizioni insalubri delle città capitaliste (falansterio, “villaggio di armonia e cooperazione”). E’ altrettanto noto che i cosiddetti partiti di sinistra non rappresentano la volontà popolare emersa dai referendum, ma non bisogna commettere l’errore di confondere le strutture (i partiti) con le idee ed i valori, com’è altrettanto vero che l’effetto più logico e naturale sia il dissenso espresso col non voto (il primo partito italiano è proprio quello del non voto, 21.880.739 di cittadini che non hanno un rappresentante politico).

In questo periodo di crisi della rappresentanza politica e della partecipazione attiva dei cittadini, credo sia doveroso proporre un percorso per riprenderci un’identità culturale, e lanciare un “Manifesto” politico per produrre un dibattito pubblico circa il cambiamento culturale che può consentire all’intera società di approdare in un’epoca nuova, adeguata alle opportunità offerte dall’evoluzione del pensiero e l’innovazione delle tecnologie a servizio dell’uomo in armonia con la natura. E’ necessario percorrere una transizione chiamata “decrescita felice”, per uscire dall’economia del debito, per uscire dal capitalismo, e costruire le basi culturali, sociali, istituzionali e tecnologiche per l’epoca nuova che ci consente di realizzare una prosperità per le presenti e future generazioni.

La Sinistra come noi l’abbiamo studiata e “conosciuta” è nata fra il Settecento e l’Ottocento, ed è “terminata”, per l’Occidente, durante il Novecento; il secolo ove il capitalismo ha saputo prosperare e crescere, fra gli USA e l’Europa, nella versione più sincera e vera: cioè il neoliberismo, che ha sostituito Stati, Nazioni e modelli democratici, attraverso una progressiva trasformazione della società e delle istituzioni per mezzo della propaganda, della manipolazione psicologica, per mezzo della matematica finanziaria, le regole degli istituti bancari e la tecnologia informatica piegata agli interessi di determinate multinazionali.

La Sinistra nasce in antitesi al capitalismo (sorto col nascere del sistema bancario controllato dalla borghesia) per proporre una società migliore attraverso la tutela e l’ampliamento dei diritti umani e civili, l’uguaglianza e lo sviluppo dell’educazione e della cultura. Durante il Novecento l’esperienza concreta della Sinistra, ci mostra che essa stessa non ha rinunciato all’uso del capitalismo (l’obsoleta e sbagliata funzione della produzione), cioè non rinuncia a generare un profitto attraverso la crescita economica e materialista, e la Sinistra si differenza dalla destra, cioè dal liberismo, nella gestione politica del profitto capitalista. La Sinistra preferisce affidare allo Stato la pianificazione sociale ed economica delle risorse per un’equa ridistribuzione del profitto, e come la destra liberista crede che lo sviluppo sia insito nella crescita dell’economia e nel consumo delle merci, indipendentemente dalla qualità delle stesse e dall’impiego delle risorse, indipendentemente dagli effetti negativi che la crescita produce. Entrambe le visioni (Smith e Marx) hanno l’enorme limite culturale di ignorare le leggi della natura: fotosintesi clorofilliana, termodinamica (entropia), meccanica quantistica. Entrambe le visioni sono miopi poiché appartengono alla religione dell’economia neoclassica che rinnega la visione pragmatica e morale di Aristotele, entrambe le visioni sono miopi poiché rinnegano i rischi legati alla potenza della tecnica individuata da Heidegger, entrambe le visioni sono miopi poiché rendono l’uomo schiavo – animal laborans – come descritto da Arendt. Gli eventi bellici prima, e la recente storia degli ultimi trent’anni mostra come la Sinistra stessa, attraverso i suoi dirigenti, abbia rinnegato le proprie origini, i propri valori, ed abbia scelto di ignorare nuovi temi ed argomenti che si sviluppavano al proprio interno e che ponevano le questioni ambientali e la critica al consumismo (anni ’60) come un’evoluzione culturale della Sinistra stessa anche grazie alla bioeconomia. Nel corso degli anni ’80 la Sinistra ha preferito che l’ideale del liberismo diventasse organico ai propri programmi politici (la “terza via”), di fatto cancellando la Sinistra stessa dal panorama politico e culturale e disorientando milioni di elettori e di cittadini ignari di tale processo involutivo.

Oggi, le evidenti contraddizioni fra capitalismo e democrazia, la crisi strutturale del capitalismo stesso, la crisi avviata nel 2008 e l’inizio del nuovo millennio mostrano tutti i limiti del sistema capitalista come non era mai accaduto prima. La sua implosione preconizzata da Keynes (un liberale della destra capitalista) e dalle leggi proposte da Georgescu-Roegen, il padre della bioeconomia, consentono oggi, un dibattito pubblico probabilmente più maturo rispetto alle precognizioni e alle corrette critiche delle minoranze culturali di Sinistra durante gli anni ’60, che avevano annunciato l’attuale recessione generata dall’insostenibilità del sistema stesso (Pasolini, Illich, Daly, Georgescu-Roegen). Le recenti ricerche in studi economici propongono modelli macro-economici unendo la bioeconomia con la teoria endogena della moneta proposta dai post-keynesiani. Da questo punto di vista è indispensabile che l’euro zona diventi un’area politica autonoma e sovrana, come qualunque regime democratico e repubblicano capace di intervenire sul mercato ridistribuendo ricchezza sui territori predati dalla globalizzazione neoliberista. Un ceto politico minimamente intelligente riconosce la realtà, e cioè che la religione del famigerato libero mercato ha creato le disuguaglianze nelle aree “periferiche” mentre solo uno Stato sovrano (UE sovrana) può avere la forza di ridurle drasticamente, e concentrare gli investimenti pubblici e privati per eliminare le disuguaglianze economiche, sociali e di riconoscimento, create proprio dalle politiche liberiste (la destra) per favorire le aree “centrali”. In ambiti micro economici, sono importanti le politiche territoriali e urbane per avviare processi di rigenerazione bioeconomica nei Sistemi Locali del Lavoro con alto tasso di disoccupazione. Oggi l’UE usa le cosiddette politiche di coesione sociale, ma senza una riforma politica delle istituzioni per togliere potere agli speculatori, tutto è inutile e vano, senza un socialismo bioeconomico si resta in balia dell’immoralità del mercato.

«La prima analisi del modo con cui le persone interagiscono nell’ambito dello scambio economico non si trova nell’Economico di Senofonte, né negli Oeconomica di Aristotele, in gran parte apocrifo, ma nell’Etica Nicomachea di Aristotele. Lo scopo di Aristotele era quello di dimostrare come la giustizia poteva essere rispettata all’interno dello scambio. Il suo principio del giusto scambio è stato successivamente ripreso e perpetuato nei secoli dall’etica cristiana, secondo la quale lo scambio non doveva divenire occasione per nuocere al prossimo. L’economia politica conservò questa prospettiva per secoli. Fu essenzialmente con l’illuminismo che si cominciò a interpretare le attività economiche a partire dai concetti di piacere e di self-interest. In questo modo l’economia è stata trasformata in una disciplina mercantilistica, la cui principale preoccupazione è rimasta, da allora, confinata nell’ambito del mercato. Inevitabilmente, anche l’etica socratica tradizionale, secondo la quale gli uomini sono potenzialmente in grado di distinguere dialetticamente tra il “bene” e il “male” è stata posta in discussione. […] Tuttavia a causa della profonda separazione tra etica ed economia politica, queste diverse tradizioni non hanno influito affatto sul pensiero economico. […] Effettivamente, l’economia diventò sempre più una disciplina an-etica, come dimostra la negazione categorica di qualsiasi confronto interpersonale dell’utilità – così come della felicità o della sofferenza» (Nicholas Georgescu-Roegen, Bioeconomia ed etica, in Bioeconomia, Bollati Boringhieri, 2013, pag. 185-186) .

Nel riconoscere i limiti culturali e strutturali del capitalismo, un nuovo movimento politico italiano può trovare la risposta necessaria per proporre un cambio dei paradigmi culturali e sostenere quei cittadini, quelle associazioni e quei movimenti culturali per sviluppare un percorso fondamentale utile a costruire la società dell’epoca che verrà; un’epoca ove uguaglianza, diritti e democrazia possono realizzarsi attraverso l’uscita dal capitalismo e l’ingresso nella bioeconomia. Programmi, piani e progetti dovranno concentrare gli investimenti nel meridione d’Italia, coordinati da Università, centri di ricerca, istituzioni politiche, cittadini e associazioni al fine di ripensare le agglomerazioni industriali e aprire nuove attività e funzioni di manifatture leggere. All’interno dei Sistemi Locali del Lavoro ci sono le nuove strutture urbane, cioè le città estese ed è in questi contesti che bisogna avviare un cambiamento di scala amministrativa per immaginare piani urbani intercomunali con l’approccio territorialista e bioeconomico

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UE tasso di disoccupazione
Tasso di disoccupazione nell’UE per Regione, fonte Eurostat.

Proposta energetica/2

I cittadini hanno tutti i mezzi per avviare un progetto di cambiamento concreto. Gli ostacoli relativi alle conoscenze e all’accesso alle tecnologie giuste non ci sono più. L’unico ostacolo rimasto è interno al nostro sistema culturale che si basa su falsi miti e credenze, il mito dell’obbedienza verso poteri obsoleti. Il mito dell’obbedienza verso istituzioni che non portano avanti il bene comune, ma gli interessi mercantili di gruppi organizzati che ci vogliono schiavi e consumatori di merci inutili. Il prezzo dell’energia (idrocarburi: petrolio e gas) aumenterà, mentre oggi possiamo arrestare questa dipendenza per trasformare quartieri e città in isole energetiche indipendenti sfruttando un mix di risorse (conti alternative) e un mix di tecnologie intelligenti.andamento_prezzo_energia_elettrica_marzo_2013Fonte immagine del grafico qui sopra.

Tre anni fa ho condiviso il post proposta energetica ove da un lato studiavo le informazioni di Terna e dall’altro pensavo fosse utile cogliere i suggerimenti relativi al modello generazione distribuita perseguibile anche attraverso le ESCo. Anche Terna nei suoi rapporti cita il modello smart grid per migliorare l’efficienza energetica.

documento_Terna

Questo segnale formale è importante poiché possiamo cogliere che all’interno del “sistema” sia passato il messaggio politico che bisogna andare nella direzione dell’auto sufficienza energetica, quanto meno nella direzione della riduzione della dipendenza energetica dagli idrocarburi.

andamento_energia_2010-2013

Il grafico confronta la domanda di energia 2010 e 2013 ed è evidente la riduzione della domanda energetica. Sappiamo che l’offerta energetica da fonti alternative è aumentata, pertanto la dipendenza dagli idrocarburi può diminuire, ed è giusto perseguire il processo di efficienza energetica a scala nazionale e locale cancellando gli sprechi. Puntando alla riduzione degli sprechi si avrà un’ulteriore e significativa riduzione della domanda di energia ed attraverso l’impiego del mix tecnologico con le fonti alternative si potrà avere una significativa riduzione dell’inquinamento ambientale ed il relativo miglioramento della qualità della vita.

Ricordiamoci che i partiti politici intendevano realizzare centrali nucleari per produrre energia convinti che le fonti alternative non potessero soddisfare la domanda di energia. L’evoluzione tecnologica sta dimostrando che quella scelta era profondamente sbagliata. Oggi abbiamo tutte le risorse per realizzare comunità autosufficienti, è un obiettivo importante che per essere realizzato ha bisogno di nuova occupazione.

Non c’è alcun dubbio che stia cominciando una nuova epoca e stiamo vivendo un lungo periodo di transizione. Anche le istituzioni stanno mostrando nuovi programmi e nuove strategie.  A Bologna si presenta il programma smart city che mostra “nuove” strategie per le “città intelligenti”, certamente un’opportunità di confronto, ma bisogna ricordare che la storia delle città è stata ampiamente condizionata dal capitale e dalla rendita urbanistica, che hanno determinato le scelte degli attori politici a sfavore dei progetti sostenibili. Mentre è noto che l’Istat ed il CNEL abbiano pubblicato il primo rapporto del Benessere Equo e Sostenibile (BES). Da questi cambiamenti dobbiamo imparare e distinguere le opportunità di un reale cambiamento dei paradigmi culturali, dalle operazioni di marketing che nel solco della crescita vestono una immagine che cela l’obsoleto paradigma. Le Amministrazioni locali possono scegliere la strada della sobrietà e dell’uso razionale delle risorse attraverso un percorso culturale ampiamente illustrato nel primo rapporto BES.

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