Utopie che tornano


Salerno Master Plan costiero 1987
Master Plan recupero fascia costiera, Carpentieri, Buffo, Manzoni, Petti, Plachesi, Villani, Sessa, Carrozza, Talve, Di Giuda, Fortunato, 1987

Sogni infranti che sono ancora vivi e realizzabili: nonostante Salerno nel corso della sua storia sia stata costruita dalla peggiore speculazione edilizia, negli anni ’80 seppe sognare e realizzare alcuni interventi di grande qualità urbana che ancora oggi consentono alle persone di potersi incontrare e godere di luoghi aperti e conviviali.

I progettisti urbanisti, architetti e ingegneri, sanno bene che i processi urbani influenzano i meccanismi percettivi delle persone condizionate dai sensi, e quindi l’idea soggettiva di città dipende da come l’uomo si muove nella città, in termini di velocità e mezzo utilizzato. Gli architetti, più di chiunque altro, sanno che l’ambiente intorno a noi ci offre esperienze e in tal senso la progettazione consente di pianificare le esperienze future. La maggioranza dei nostri amministratori, totalmente ignari e piegati dai vizi degli avidi speculatori, trascurano gli aspetti sociali e ambientali della progettazione urbanistica, e così ambienti costruiti male [dalla merce edilizia e dai processi speculativi] restituiscono cattive esperienze per agli abitanti costretti a subire spazi inospitali ed edifici-merce orrendi. Un progettista, al contrario dei cattivi amministratori, è in grado di favorire lo sviluppo delle attitudini umane partendo da azioni semplici come il camminare e muoversi in un luogo aperto o chiuso. Abitudini apparentemente naturali sono vietate/impedite da come è costruita la città; ad esempio Salerno vieta di vivere il mare in luoghi identitari (il famigerato porto commerciale costruito all’inizio della costiera amalfitana) come il centro (ad eccezione del lungomare), così come in periferia edifici, muri, e lidi di cemento sul demanio pubblico, poiché la mentalità prevalente degli amministratori è stata, ed è tutt’oggi, quella di ignorare il territorio e la bellezza della natura per favorire il profitto privato di talune attività incompatibili con l’ambiente e con i bisogni di convivialità delle persone. Il litorale cittadino è ricco di ostacoli fisici che negano la fruizione del demanio pubblico occupato da costruzioni inutili e mostruose. Architetti e urbanisti sanno progettare la rinaturalizzazione del litorale con servizi adeguati oggi inesistenti, eliminando proprio le mostruosità che occupano il demanio pubblico, in maniera tale da introdurre la bellezza e favorire la fruizione dei luoghi e stimolare l’attitudine naturale del passeggiare, correre, e sostare per contemplare. Tutto ciò fu proposto nel master plan di recupero dell’intera fascia costiera degli anni ’80, ma poi fu accantonato dall’Amministrazione poiché “troppo” ecologista fino al punto di eliminare i danni ambientali rappresentati dagli interessi privati di taluni elettori (edifici e lidi di cemento).

Dopo il dominio assoluto della mentalità fascista, prima, e democristiana, dopo, entrambe condizionate dai vizi insiti nel capitalismo, fu la prima Giunta di Sinistra a proporre soluzioni urbane per migliorare la qualità di vita degli abitanti, e così oltre al Corso Vittorio Emanuele ed al lungomare Trieste riqualificati ed alcuni arredi urbani nella zona orientale, la maggioranza degli elettori non sa che quell’esperienza progettuale, solo in parte realizzata, fu interrotta e fu negata dalla recente “satrapia” che ha preferito i processi speculativi al bene comune, tornando a coltivare i vizi del nichilismo capitalista. Negli anni ’80 si ebbe una grande opportunità per migliorare la propria qualità di vita, poiché l’Amministrazione approvò un master plan che riqualificava l’intero litorale cittadino con l’obiettivo di eliminare l’affollamento e l’inquinamento automobilistico su tutta la fascia costiera. In che modo? Il progetto di riqualificazione prevedeva, in molte fasce e zone costiere, di spostare il traffico veicolare delle auto nel sottosuolo e/o convogliarlo verso l’interno al fine di consegnare quello spazio (la fascia costiera) alla fruizione pedonale delle persone, che sono influenzate dalla percezione della luce, dai suoni, dagli odori, dalla velocità di movimento mentre si cammina. La migliore percezione della città è la velocità di movimento pedonale, per questo motivo il master plan aveva come priorità il pedone mentre svantaggiava l’automobile. In questo modo, cioè costruendo zone pedonali e nuovi arredi urbani lungo la fascia costiera si riusciva a cambiare il senso di appartenenza al luogo stesso, migliorandolo e aumentando la qualità della vita, rispetto agli spostamenti nei tragitti fra casa-studio, casa-lavoro e casa-spiaggia e mare. Il disegno urbano rimuovendo gli ostacoli fisici realizzava un’esclusiva ed efficace accessibilità delle persone al mare con servizi adeguati. Sapendo che i caratteri formali dello spazio influenzano la vita delle persone si immaginò di progettare lo spazio urbano lungo la fascia costiera con criteri e materiali di qualità, cioè disegnare lo spazio pubblico aperto favorendo convivialità, socialità e persino sviluppo umano. In assenza di spazi pubblici si sviluppa l’opposto: alienazione, inquietudine urbana, isolamento, condizioni di stress, frustrazioni e conflitti.

Inoltre esiste un indicatore soggettivo della morfologia urbana, e cioè il carattere dei luoghi urbani è determinato non solo dalla forma, dai volumi, dall’armonia ma dalla qualità degli spazi e dell’estetica degli edifici. Per cogliere il senso del carattere è utile passeggiare nei nostri centri storici. Da questo punto di vista è importante individuare criteri per un’analisi degli spazi urbani scegliendo il punto di vista dell’uomo e il suo movimento e rilevando la presenza degli elementi per forma, idea (valore/significato), funzione (uso, attività), tutto ciò è fondamentale per descrivere la realtà. Si utilizza il punto di vista dell’individuo che si muove in uno spazio in un determinato tempo ed in un determinato contesto socio-economico. I sensi attribuiscono un significato/valore allo spazio creando una percezione soggettiva dell’ambiente costruito che si svolge in tre fasi: la selezione degli stimoli, il giudizio e l’assegnazione di significato. Quindi c’è un’azione “meccanica” di riconoscimento di una sollecitazione e un’azione di “valutazione”, e ciò determina un condizionamento. Si tratta di un’interpretazione [l’analisi dal punto di vista dell’utente] determinante per il progetto al fine di immaginare luoghi idonei per le persone. I progettisti sanno che la percezione soggettiva della forma dello spazio condiziona la qualità della vita, e alcuni elementi che creano il condizionamento sono: la distanza percepita; la varietà dei luoghi; la definizione dei tragitti preferenziali; la percezione di barriere; la conoscenza dei luoghi; i punti di riferimento; il rapporto fra pieni e vuoti; il rapporto fra figura e sfondo; le visuali chiuse o aperte. Sono tutti elementi del disegno urbano che contempla il concetto di urbanità, cioè la corretta rappresentazione fra spazio urbano e volumi edificati, quindi fronti urbani, piazze, e strade.

Oggi, l’Amministrazione pubblicizza altri progetti di riqualificazione della fascia costiera ma c’è una carenza culturale molto forte, non solo per l’evidente scopiazzatura del genius loci locale da parte delle famigerate archi-star, ma perché questi progetti non pensano l’insieme della città e il rapporto con l’interno, ma si limitano a “interventi spot” in alcuni lotti, alcune zone, e pertanto non essendo parte di un tutto trascurano i problemi dell’inquinamento atmosferico causato dal traffico veicolare privato. L’Amministrazione, addomesticata da una pericolosa mentalità sviluppista (e liberista), ha approvato la realizzazione di un numero eccessivo di approdi per l’attività diportistica, poiché tolgono spazio alla fruizione pubblica del mare, per privatizzarla. In una maniera del tutto irrazionale è prevista la ricostruzione del vecchio porto turistico (quello di piazza della Concordia) triplicandone la sua estensione lungo la fascia costiera (coinvolgendo e deturpando l’attuale lungomare Trieste), ed in maniera analoga si vuole progettare un nuovo approdo al posto del cosiddetto porticciolo di Pastena (che porto non è, poiché sono frangiflutti che consentono un piccolo ricovero), mentre è stato già realizzato un nuovo porto turistico in zona stadio Arechi, la cosiddetta Marina d’Arechi. La mentalità dell’Amministrazione è chiara: continuare a coltivare idee dell’Ottocento per sfruttare i processi speculativi e stimolare la crescita del capitalismo privato, trascurando l’entropia e i reali bisogni delle persone che continuano ad abbandonare il capoluogo. Non è bastato il danno ambientale dell’attuale porto commerciale che si trascina altri interventi sviluppisti come “Salerno porta Ovest”, la fede nella teologia della crescita continua a mietere altri danni e altre vittime con il sostegno elettorale. Nell’attesa di realizzare tali impatti ambientali, sono realizzati (via G. Clark e Mercatello) interventi chiamati di “ripascimento”, ma si tratta di nuovi riempimenti a mare con materiale delle attività estrattive e nuove difese marine con barriere artificiali per contenere le nuove spiagge, utili per lo sfruttamento delle vecchie concessioni circa le attività balneari.

Contrariamente a ciò che crede l’Amministrazione, la disciplina urbanistica nacque proprio nell’Ottocento ma per fare l’opposto: rimuovere i danni ambientali causati dal capitalismo e dall’avidità delle élites locali. La disciplina urbanistica è giovane ma ha raggiunto una propria consapevolezza e si è arricchita di conoscenze tecnologiche. Gli urbanisti sono consapevoli del fatto che le élites influenzano gli amministratori mentre gli stessi consentono lo sfruttamento delle scelte di piano per arricchire una cerchia ristretta di investitori/proprietari ma a danno della collettività, e ciò a Salerno è particolarmente evidente, oltreché noto da decenni. Dal punto di vista disciplinare, circa il caso salernitano serve un piano urbanistico di qualità che progetta anche quello che si chiama in gergo “l’atterraggio del piano” (cioè quando il piano diventa architettura) determinato da un buon regolamento edilizio, e “l’attacco a terra” fra edifici e spazio pubblico, cioè lo spazio che vivono le persone: i marciapiedi, le panchine, il rapporto fra spazio privato e pubblico, la strada con le carreggiate e le piste ciclabili, i giardini e i giochi per i bambini, il verde di quartiere e le reti ecologiche. Lungo la fascia costiera salernitana manca proprio la progettazione dell’attacco a terra fra gli edifici e la spiaggia, ove troviamo gli abusi, il degrado, il cemento.

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