La storia è scritta dai vincitori


Com’è diversa la Storia letta fuori dalle scuole.

Tratto da Marco Pizzuti, rivelazioni non autorizzate, edizioni il punto d’incontro, Vicenza 2009, pag. 81. L’unità d’Italia e il mito della spedizione dei Mille. A partire dal 1850 il Piemonte venne utilizzato dalla massoneria per rovesciare il potere della Chiesa e proseguire il processo di globalizzazione “profetizzato” dagli illuminati di Baviera. Per tale ragione vennero unificate con le armi tutte autonomie locali sotto l’egida di un unico stato unitario. Il governo piemontese con la legge Siccardi del 1850 e successivi provvedimenti, una volta espropriate le terre ecclesiastiche le rivendette a prezzi stracciati a voraci latifondisti, che in breve tempo ridussero i contadini nella massima indigenza.

Il nuovo stato liberale spazzò via il vecchio ordine sociale soppiantandolo con un potere centrale sbilanciato a favore dei grandi mercanti e dei proprietari terrieri. In quel periodo, la guerra aveva lasciato ben trecentomila morti sui campi di battaglia di Solforino e San Martino, acutizzando i problemi sociali della popolare già afflitta da epidemie e miseria. Basti ricordare che nel 1860 l’incidenza delle spese militari piemontesi si attestava sul 61,6% della spesa totale, mentre la percentuale della spesa stanziata per le strutture di pubblica assistenza non superavano il due per cento. Senza contare che il debito pubblico piemontese in quel periodo sfondò il tetto di un miliardo di allora, ripartito su soli quattro milioni. Lo stesso Francesco Nitti, pur essendo massone, fu costretto a riconoscere quanto segue: “…prima del 1860 era la Sud la più grande ricchezza…”.

Ma la pagina più emblematica dell’epopea risorgimentale fu senz’altro la conquista del Sud, un regno rimasto libero e indipendente sin dal 1734, con un re italiano alla sua guida, un popolo prosperoso e una flotta seconda in Europa solo a quella inglese. Il regno del Sud insomma prima degli anni dell’unificazione era un paese florido, che contava ben 472 navi, un debito pubblico minimo e notevoli riserve auree a cui facevano da cornice grandi opere civili e le tasse più leggere d’Europa. La miseria toccò il Sud Italia solo dopo il processo di unificazione e comportò l’immigrazione disperata di 14 milioni di meridionali tra il 1876 e il 1914. Il Sud cercò quindi di resistere con ogni mezzo al nuovo ordine imposto dalla massoneria e dai libri di storia. E così tra il gennaio e l’ottobre del 1861, nell’ex Regno delle Due Sicilie si contavano ben 9860 fucilati, 10.604 feriti, 918 case incendiate, sei paesi rasi al suolo, dodici chiese predate, quaranta donne e sessanta fanciulli uccisi, 13.629 imprigionati, 1428 comuni insorti. Pertanto si trattò di un guerra di rappresaglia contro i ribelli civili del Sud che proseguì per anni, provocando un numero superiore di morti a quello raggiunto durante tutte le guerre risorgimentali messe insieme. Ma ciò che appare più paradossale in tutto ciò è che alcuni dei principali ideologi del liberalismo illuminato piemontese furono proprio dei massoni napoletani: Francesco De Sanctis, elevato nel 1859 al 18° di rito scozzese, grado di cavaliere di Rosacroce, Bertrando Spaventa, Pasquale Stanislao Mancini, Silvio Spaventa, Ruggero Bonghi, Camillo De Meis.

Tratto da Ferruccio Pinotti, Fratelli d’Italia, BUR pag. 317. La massoneria italiana dall’Unità al Fascismo. Silvano Danesi:«La massoneria è un fenomeno assai complesso e lo spazio di un’intervista comporta necessariamente schematismi e semplificazioni. Prima di arrivare alla finanza, credo sia essenziale dire che se oggi c’è l’Italia unita lo si deve in gran parte alla massoneria. La storia del Risorgimento è segnata dall’iniziativa di molti massoni quali ad esempio, Giuseppe Garibaldi e Camillo Benso di Cavour. […] L’idea dei francesi, per quanto riguardava l’Italia, era quella di uno stato cuscinetto nei confronti dell’Austria e niente più. Sicuramente non intendevano disturbare lo stato vaticano. A favore e proteggere lo sbarco in Sicilia dei Mille c’erano, al largo, le navi della marina inglese; e si sa che il Gran Maestro della massoneria inglese è il re.»

«Gli studiosi di economia sono concordi nel ritenere che la crisi, che aveva colpito il Paese a partire dal 1882, abbia prodotto effetti positivi per il Nord Italia e in particolare per la Lombardia, determinando il sorgere o il consolidarsi di un’industria dinamica e modera. Numerosi fattori contribuirono a questo risultato. Nuove vie di comunicazione, come la ferrovia del Gottardo, aperta al traffico il 10 luglio del 1882, fecero delle città del Nord e in particolare Milano, il centro di collegamento in Italia e l’Europa; mentre la crisi agricola, liberando notevoli capitali, che non trovavano più convenienza a investire nella terra, favorì la nascita dell’industria elettrica e agevolò la trasformazione delle altre esistenti, a cui fornì, peraltro, un’abbondante manodopera che proveniva dai disoccupati delle campagne.»

Alcuni spunti tratti dal sito brigantaggio.net

LA VITTORIA DEI MILLE A CALATAFIMI FU FRUTTO DI PURO EROISMO O VI PESA L’OMBRA DEL TRADIMENTO

L’11 maggio 1860 avvenne lo sbarco a Marsala dei Garibaldini, ubriachi d’avventura, senza trovare la benché minima resistenza tanto che possiamo paragonare il detto sbarco all’arrivo di una allegra brigata di turisti in vena di godersi la splendida primavera siciliana. I marsalesi li accolsero con estrema diffidenza tanto che il garibaldino Giuseppe Bandi ebbe, poi, a scrivere in una sua cronistoria:”Fummo accolti dai marsalesi come cani in chiesa”. Da bravi invasori i garibaldini corsero subito a mettere le mani nelle casse della tesoreria comunale, ma trovarono pochi spiccioli così come ebbe a scrivere lo scrittore garibaldino Ippolito Nievo perché i previggenti marsalesi avevano provveduto a mettere in salvo il tesoro comunale.

[…]E’ estremamente ovvio che il corruttore non può confessare la corruzione di cui è stato autore perché incolperebbe se stesso e cadrebbe nella più completa disistima. Ed infatti Garibaldi con la sua lettera del 1° novembre 1861 da Caprera rassicurò il Landi junior che si trattava di calunnia e che suo “padre a Calatafimi e nell’entrata su Palermo fece il suo dovere di soldato”. La risposta era scontata: Non poteva essere che questa. A questo punto viene spontaneo chiedersi: Ma perché Michele Landi non si rivolse al Banco di Napoli per avere una netta e chiara smentita di quello che egli chiama calunnia essendo questo il solo che avrebbe potuto smascherare i presunti calunniatori? Perché il Banco di Napoli chiamato così pesantemente in causa non intervenne con una pubblica smentita? Perché la famiglia Landi non agì giudizialmente contro La Civiltà Cattolica ed il Cattolico di Genova, definiti da Michele Landi nella lettera anzidetta giornali austro-clericali-borbonici, per tutelare l’onorabilità del suo congiunto la cui memoria veniva così pesantemente infangata? Non risulta che tutto ciò sia stato fatto o che sia avvenuto, pur essendo stata questa la strada giusta da seguire. Ma tutte queste storie a chi potevano interessare? Ai vincitori certamente no (basta chi t’appi e comu t’appi t’appi dice un proverbio siciliano). I vinti riottosi furono messi pesantemente a tacere.

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